Di affrontare i problemi reali della città non se ne parla nemmeno. Neanche un rappresentante del governo cittadino, tanto per dire, si è fatto vedere quando c’erano 14 sfratti con la forza pubblica in un solo giorno, d’altra parte ce ne sono oltre 100 in programma nel solo mese di ottobre, meglio far finta di niente. Così traffico, notti agitate nel centro storico, fabbriche che licenziano, tutte cose buone per un intervista o qualche dichiarazione.
Ma non è cattiva volontà, è che la nuova missione della amministrazione fiorentina è, con ogni evidenza, l’intermediazione immobiliare. Parte così in gran pompa l’operazione “Florence city of the opportunities” (che già a livello linguistico fa venire i brividi: traduttore automatico di Google?): il prode Sindaco Nardella in giro per le fiere internazionali del mercato immobiliare, a Monaco, e poi in Cina, e poi chissà dove, intento a piazzare sul mercato una bella fetta di Firenze.
Scorrendo il “listino” intanto si nota che 47 su 60 dei beni immobiliari in offerta sono privati: ma il Comune di Firenze è davvero diventato una agenzia immobiliare? E i privati verseranno regolari commissioni o è un favore gratuito di Nardella e soci?
Poi ci sono i 13 immobili pubblici, dal Meccanotessile all’ex Comunale, da San Firenze alla villa di Rusciano, dalle Murate al palazzo Vivarelli-Colonna. Peraltro non tutti compresi nel già sciagurato piano delle alienazioni approvato alcuni anni fa dalla giunta Renzi con acceso dissenso dell’opposizione di sinistra in Consiglio.
In pratica il Sindaco va in giro per il mondo cercando di vendere un considerevole pezzo della nostra città, certificando ancora una volta, ce ne fosse stato bisogno, il disinteresse o l’incapacità di fare quello che dovrebbe fare una amministrazione: occuparsi del futuro della città, dei prossimi assetti urbani, del mantenimento del patrimonio pubblico per renderlo appieno risorsa per i cittadini, del governo delle dinamiche che fanno vivere, o agonizzare, una città.
Caro Sindaco, Firenze non è una merce di cui puoi disporre a piacimento, vendendo un pezzo qua e un pezzo là: Firenze è un patrimonio comune di tutti e tutte quelli che ci abitano, la vivono, la visitano.
Caro assessore all’urbanistica, non basta nascondersi dietro le schede del Regolamento Urbanistico per dire che le trasformazioni sono sotto controllo: designare il complesso di San Firenze a destinazione “terziario”, cioè uffici, e aspettare una offerta qualsiasi (centro amministrativo di una multinazionale? Università privata? Uffici della NATO, o della Spectre?), vuol dire abdicare al proprio ruolo, e fare da spettatore mentre la rendita, la speculazione, e il grande capitale divora la città, infischiandosi dei bisogni e delle necessità di chi la vive.
Se non sapete fare altro che questo, andatevene.
Maurizio De Zordo
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Una precisazione da me dovuta, sempre secondo la mia esperienza e le mie considerazioni, su Firenze. Firenze è da sempre una città che specula pesantemente su turisti, studenti, stranieri. Il ‘500 come un bel prosciutto e una scusa di superiorità (non verificata, anzi).Trovo che ‘la sinistra’, che qui ha governato ha solo cercato di gestire questo fenomeno mescolando ideologia sulle grandi questioni con ‘integrazione’ verso l’alto dei ceti impiegatizi e|o bottegai (come i fiorentini si autodefiniscono). Questo ha creato evidentemente molti non detti, molti problemi a livello sindacale e sociale. E la creazione- o mantenimento- di quei blocchi di potere che nelle città del mondo esistono insieme ad altro mentre qui costruiscono l’ossatura socio-economica e, con questa, l’abuso di dipendenza dal ed incidenza sul potere (locale). Ora accade che questa maglia economica politica e sociale preesistente abbia trovato il volano del renzismo per diventare manifesta, anche vista l’inesistente presenza di una sinistra colta e ‘inventiva’ ; anche visto il ciclico ritorno al provincialismo e all’individualismo non etico degli italiani. Questo evidentemente a livello nazionale. Dunque Firenze come una sorta di modello inefficace e ‘povero’ ma , tuttavia, al momento vincente. Resta sul campo una ‘sinistra radicale’ , nata dentro questi processi da società ‘immobile’ , che è spesso una presenza di ‘resistenti’ che spesso non ha parole o immaginario, se non per un ceto ‘universitario’. (purtroppo avulso nella sua totalità dalla vita cittadina). Ha tuttavia una radicalità ne porsi che permette nei suoi momenti più ‘estemporanei’ la costruzione di quel nuovo ‘sapere’ che a me attrae molto. Parlo del rispetto e della difesa del territorio, della sua configurazione, della sua ‘produttività’ contro l’industria agroalimentare. E mi piacerebbe che questi saperi si mettessero in relazione con quelli più ampi della società complessa degli umani e non dei commerci TTIP. Per potere finalmente parlare, se proprio è necessario, di Bello e non di bello.