L’approvazione del regolamento urbanistico di Firenze si approssima. Lo zelo con cui è stato redatto è strumentale – ma non ci meravigliamo – ad appetiti minori distribuiti qua e là sul territorio comunale. Il capolavoro consiste però nell’averlo spogliato di senso pianificatorio.
Da una parte, il sindaco arrampicatore aveva fatto partire nel 2011, in variante con piroetta, le grandi aree industriali dismesse sulle quali avrebbe dovuto concentrarsi il disegno condiviso della città futura (Manifattura tabacchi etc.). Dall’altra, i nodi cruciali del piano vengono semplicemente elusi: nessuna vincolante destinazione d’uso, nessun disegno organico per i grandi contenitori, tutti, o quasi, in vendita. Anzi, il sindaco in sedicesimo si arrabatta per trovare acquirenti dal potere taumaturgico. Ma, è bene ricordarlo, per ora solo la Cassa Depositi e Prestiti, società per azioni private con soldi pubblici – sai che bravura – ha comprato al banco della Renzi-Nardella, con puntualità svizzera a trarre in salvo i bilanci comunali.
Che poi il regolamento sia a indici edificatori zero sulle aree rurali (le poche rimaste…) è merito della legge urbanistica regionale di nuovo varo, la 65/2014 che impedisce ogni ulteriore impegno di suolo fuori dalle aree urbanizzate. Dentro alle aree urbanizzate invece gli indici salgono: una coriandolata di concessioni, di edifici che volano e atterrano (i posteri potranno giudicare che risultati darà poi questa norma cervellotica), di premialità fino al 30% sul volume, di parcheggi interrati e a raso, di impianti sportivi.
Avremmo voluto vedere invece un piano a indici edificatori negativi, che annullava vecchie concessioni (area Castello) o nuove inutili edificazioni in luogo di volumi dismessi: chi mai ha sancito che una volumetria concessa a fini produttivo-sociali (fabbriche, opifici etc.) debba trasformarsi automaticamente in appartamenti o in supermercati? Dove sta scritto che, nell’interesse comune, il Panificio militare ad esempio debba mutarsi in centro commerciale anziché in giardino pubblico?
Ma l’interesse comune viene dopo quello particolare: è questo il senso precipuo dell’approvando regolamento, utile forse alla sola normale amministrazione. Per i grossi appetiti le regole evidentemente stanno altrove.
* Ilaria Agostini, urbanista, è attivista del laboratorio politico perUnaltracittà
Ilaria Agostini
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Risulta particolarmente sfacciato il modo in cui le decisioni strategiche, per esempio sul posizionamento e sull’entità del verde pubblico e privato nelle aree di trasformazione e nei piani di recupero non completati, vengono rinviate ogni volta a una fase successiva, verosimilmente si giungerà al permesso di costruire, sul quale i cittadini non hanno alcun margine d’intervento. Così all’osservazione al PS relativa al verde in San Jacopino fu controdedotto che non era quella la sede, ma lo sarebbe stata il RUC; all’osservazione ripresentata nella fase espressamente indicata dal Comune si afferma invece che lo saranno gli atti pianificatori ed edilizi di dettaglio. Pare quasi che il verde sia una mera questione esornativa, che comparirà come colorate fioriere in spazi residuali nei rendering dei progetti esecutivi