Abbiamo incontrato Alfonso Navarra, vicepresidente dell’associazione “Energia Felice”. Instancabile nel documentare rischi e problemi del nucleare civile da anni denuncia i rischi enormi che l’umanità corre con il “nucleare militare”. Nel nostro colloquio emergono alcuni aspetti inquietanti su come il Governo Renzi sta affrontando il tema del Deposito unico nucleare. E anche la Toscana, in particolare il territorio della Costa, potrebbe essere coinvolta nel pericoloso stoccaggio delle scorie. Si diceva che entro il 18 giugno il Governo avrebbe dovuto pubblicare la mappa: evidentemente i tempi non sono stati rispettati.
A giorni dovrebbe finalmente essere desecretata la mappa dei siti idonei al Deposito unico nucleare (DNU)…
La scelta della destinazione, una storia che si trascina da 25 anni, è stata fino ad oggi tenuta nascosta per non influenzare i risultati delle ultime elezioni amministrative. Il tentativo berlusconiano del 2003 che individuò come sito Scanzano Jonico è abortito in virtù della rivolta popolare dell’intera Basilicata: nove giorni di blocchi stradali e i vescovi in prima fila.
Resta il fatto che nessuno ne parla.
Tutti ne parleranno, prestissimo, entro il 18 giugno (pare, ma chissà se rispetteranno la scadenza) il Governo pubblicherà la mappa dei potenziali luoghi interessati. La Toscana è sicuramente tra le Regioni considerate più adatte ad ospitare il Deposito unico.
Come si articola la procedura che porterà alla scelta finale?
Dopo la pubblicazione della mappa dei siti ritenuti idonei partirà l’iter legale “partecipativo” per decidere il Comune che se lo prenderà: il governo vuole un interlocutore debole, quindi scavalca le Regioni. L’impianto, che dovrebbe conservare 90.000 metri cubi di robaccia radioattiva, per lo più eredità della vecchia ambizione nucleare dell’Italia, sarà terminato entro il 2024. La Francia, prendendo spunto da una Direttiva UE del 2011, ha sollecitato la decisione: vuole sapere dove riporterà indietro le scorie italiane che stiamo trasportando via treno a Les Hague in Normandia per una parziale messa in sicurezza (e da cui essa ricava anche un po’ di plutonio per usi militari).
Quali sono le caratteristiche del sito?
Sul tavolo ci sono tre ipotesi: un’unica struttura ex novo, un’unica struttura presso una centrale nucleare dismessa, più strutture “regionali” incastonate in impianti nucleari dismessi. Nessuno dormirà sonni tranquilli, ovunque sia costruito il Deposito e dopo lo stoccaggio delle scorie radioattive.
Ci puoi dare qualche altro particolare?
Il Sole 24 Ore, con uno scoop giornalistico di Jacopo Giliberto, nell’articolo del 3 giugno 2015 intitolato “Le isole nella mappa nucleare” [http://goo.gl/QYdBo1], ci ha avvisato che dal 15 al 18 giugno dovremmo finalmente conoscere la mappa dei luoghi tecnicamente idonei a ospitare il futuro deposito nazionale delle scorie atomiche. Giliberto indaga sul gioco delle date e si interroga:
“Perché la mappa, che avrebbe dovuto essere pronta a metà aprile, è stata rinviata a dopo le elezioni regionali? Risposta vera: affinché il deposito atomico non diventasse un’arma di campagna elettorale. Risposta formale data dalla sottosegretaria: «Nel corso dell’attenta valutazione della documentazione pervenuta, i due ministeri interessati hanno tuttavia congiuntamente ritenuto necessario acquisire determinati approfondimenti tecnici, sia da parte della Sogin che da parte dell’Ispra, al fine di compiutamente valutare il documento nei confronti del quale rendere il proprio nulla osta alla pubblicazione. Conseguentemente, lo scorso 14 aprile sono state formulate nei confronti dei predetti enti formali richieste di approfondimenti tecnici, fissando in 60 giorni il termine per fornire riscontro». (I ministeri di cui fa cenno Velo sono Ambiente e Sviluppo economico, e i 60 giorni scadranno il 15 giugno)”.
Sembra tutto molto vago…
Esatto. Infatti Giliberto aggiunge, rigirando il dito nella piaga:
“Bisogna procedere per indiscrezioni, in assenza di qualsiasi conferma causa segreto. I dettagli che seguono non possono essere stati sottoposti a verifica. A differenza della mappatura di cinque anni fa, poi messa nel congelatore, la nuova mappa dovrebbe comprendere anche le grandi isole, cioè Sicilia e Sardegna. In precedenza erano state escluse per evitare i rischi del trasporto di materiali radioattivi via nave, rischio remotissimo vista l’esperienza di isole ben nuclearizzate come Giappone e Gran Bretagna. Quindi le preoccupazioni della Sardegna, i cui abitanti sono sensibilissimi all’ipotesi di una candidatura per il deposito, non sembrano mal riposte. Viceversa, a sconsigliare decisamente un deposito in un’isola è il costo proibitivo del trasporto via nave”.
Quali sono i siti toscani interessati?
Tra l’ultima mappatura (del 2010, vedi immagine, ndr.) e quella di oggi non sono variati i criteri “tecnici” di Euratom. Sarà quindi molto interessante comprendere come e perché varierà. La Toscana non mancherà, scommettiamo? Ci saranno molto probabilmente Comuni delle provincie di Pisa, Pistoia e Grosseto. All’epoca – 2010 – il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, appena rieletto, protestò pensando in particolare alla Maremma: “No grazie – affermò all’ANSA – la Maremma avrà turismo, agricoltura e un distretto per le energie rinnovabili” [http://goo.gl/Z4CWPh].
Hai usato un tono ironico citando i “criteri tecnici” di Euratom…
Sì, il mondo è popolato da “ingenui” che credono che in questo tipo di scelte “tecniche” il condizionamento politico non sia decisivo. Ingenui che, ad esempio, ignorano che Euratom è nata per il progetto di bomba atomica europea (su questo leggete la prefazione di Sergio Romano al libro di Paolo Cacace “L’atomica europea: I progetti della guerra fredda, il ruolo dell’Italia”, Fazi Editore, 2005) o che esiste una censura preventiva dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica sull’Organizzazione mondiale della sanità denunciata a suo tempo dalla candidata al Nobel per la medicina Helen Caldicott (da leggere il suo libro: “Il nucleare non è la risposta”, Gammarò Editori, 2010).
Due referendum contro il nucleare vinti negli ultimi 30 anni. Sembra però impossibile tirare un sospiro di sollievo.
Il referendum del 2011 ha, come sappiamo, bloccato tutto. Ma io consiglierei di non ritenere la partita con la lobby nucleare definitivamente chiusa. Mi sembra essenziale sottolineare che è stata Parigi ad avere aperto la questione del deposito delle scorie italiane bloccando il trasferimento dall’Italia del combustibile nucleare da riprocessare negli impianti di Les Hague. Ho commentato la vicenda sul TG Valle Susa, un sito del Movimento No-TAV che si occupa anche di opporsi al pericoloso ed inutile via vai su treno delle scorie radioattive [http://goo.gl/EhtRov]:
“A Parigi, in soldoni, non si fidano che potremmo, noi “italiani”, riprendere le scorie indietro, costruendo il deposito (che la UE impone di individuare entro il 2015) entro questa scadenza del 2025. Ed ecco la decisione di sospendere i viaggi. Dopo i cinque viaggi già effettuati, informa la Stampa, che “a Trino restano ancora 47 barre di combustibile nucleare esaurito e a Saluggia 13,2 tonnellate di combustibile irraggiato che aspettano di varcare le Alpi per essere riprocessate”. Sarebbero necessari ancora tre viaggi per riprocessare questo materiale residuo”.
SCHEDA – COSA È IL D.U.N.
Sempre grazie alle analisi e agli approfondimenti di Alfonso Navarra cerchiamo di capire meglio che cosa è il Deposito unico nucleare.
Nulla di meglio che visitare il sito della SOGIN [www.sogin.it], che è la società di Stato responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, per avere le informazioni di base.
Riassumo: sarà una struttura di superficie che, alta cinque piani ed estesa per 150 ettari (compreso il Parco Tecnologico), ospiterà in via definitiva le scorie nucleari a bassa e media attività, calcolate attualmente in 75.000 metri cubi, quindi dovrà garantire una sicurezza per 300 anni.
Conserverà anche, in via temporanea, le scorie ad alta attività, circa 15.000 metri cubi, collocati in contenitori speciali (chiamati cask), in attesa della disponibilità di un deposito geologico definitivo, visto che la pericolosità di questi rifiuti ha durata geologica: si pensi al plutonio che “dimezza” in 24.400 anni e che bisogna quindi tenere confinato – non deve mai venire a contatto con la biosfera! – per oltre 200.000 anni.
Quanto costerà il DUN?
Secondo le stime della SOGIN, per la realizzazione del DUN è previsto – ottimisticamente! – un investimento complessivo di circa 1,5 miliardi di euro, di cui 650 milioni per la progettazione e costruzione del deposito nazionale; 150 milioni per la realizzazione del Parco Tecnologico; 700 milioni per le infrastrutture interne ed esterne. Ovviamente si condisce il tutto con la solita promessa delle migliaia di posti di lavoro.
Dove si farà questo DUN?
In teoria si lavora su basi tecniche, i criteri Euratom, che portano ad escludere le aree vulcaniche attive o quiescenti; le località oltre 700 metri sul livello del mare o ad una distanza inferiore a 5 chilometri dalla costa; le aree a sismicità elevata, a rischio frane o inondazioni e le “fasce fluviali”, dove c’è una pendenza maggiore del 10%. Escluse inoltre anche le aree naturali protette, quelle che non siano ad adeguata distanza dai centri abitati e quelle a distanza inferiore di un chilometro da autostrade, strade extraurbane e ferrovie. A seguire alla lettera queste regole un sito in Italia non potrebbe esistere e Virginio Bettini dell’Università di Venezia lo ha documentato in molte sue pubblicazioni.
Si delinea un bel rompicapo…
L’intento della SOGIN e, soprattutto, del governo è comunque quello di evitare una Scanzano-bis. Per questo, la pubblicazione della mappa dei siti idonei ad ospitare il deposito nazionale sarà seguita da una fase di consultazione pubblica, che sfocerà in un seminario nazionale dove saranno invitati a partecipare tutti gli “stakeholder”. Dalle istituzioni ai vari livelli alle associazioni ambientaliste (le solite note), passando per il mondo scientifico. Solo al termine di questo iter, copiato dal francese “débat public”, si arriverà a una nuova versione aggiornata della Carta dei siti. Quindi si procederà all’acquisizione di possibili manifestazioni di interesse da parte degli Enti locali. In assenza di adesioni spontanee e se non si dovesse arrivare ad una scelta concordata, ecco che, alla fine, a decidere sarà il Consiglio dei ministri.
Insomma si delinea un percorso piuttosto irto di ostacoli. Cosa possiamo proporre nell’immediato ai lettori-attivisti?
Quello che posso proporre è di chiamare l’Associazione Energia Felice perché possa spiegare, con i suoi esperti ed attivisti, in dibattiti in cui ci si confronta di persona, aspetti che non possono essere liquidati in due righe. Un esempio? sostenere che questo DUN potrebbe avere l’impatto negativo di 1 milione di inceneritori non è affatto una boutade ma una realtà con fondamento scientifico. Stiamo per pubblicare un libro in proposito che andremo a presentare in giro. Il titolo? “La follia del nucleare”, ovviamente!
Info: Alfonso Navarra, Associazione Energia Felice
340/0878893 – 02/58101226 – alfiononuke@gmail.com
*Tiziano Cardosi, attivista perUnaltracittà e No Tunnel Tav
Tiziano Cardosi
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Così dopo l’amianto e altre schifezze varie in Toscana https://www.facebook.com/Q3.GAVINANA/posts/868696626533873 ecco, arriva l’uranio e il plutonio… Però sono “impoveriti”
Tutto giusto quanto scritto e qualunque sarà il sito prescelto la popolazione locale si ribellerà con ogni mezzo.
Resta il fatto che questi 90000 mc di scorie noi italiani le abbiamo prodotte (non dico godute perché il contributo al “miracolo economico” degli anni sessanta, dell’energia elettrica da fonte atomica, è stato quasi irrilevante, a goderne i frutti sono stati pochi boiardi di Stato e qualche generale in carriera)
Ora, con queste scorie dovremo pur fare i conti. Finora la Sogin a giustificato la sua esistenza con qualche giochi di prestigio, facendo viaggiare quelle più radioattive verso, e da, siti di trattamento del nord Europa. ma i giochi si chiudono, ce lo hanno segnalato i francesi.
A meno di sperare di trasferirle in qualche paese africano destrutturato o rinviare il problema alle generazioni future (come in buona parte si è già fatto) un sito di stoccaggio bisognerà pur trovarlo.