Nel 2012 all’Havana è stato avviato un processo di pace tra il governo del presidente Juan Manuel Santos e le Farc – Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, il gruppo di guerriglieri più celebre e longevo del paese centroamericano. Sono passati ormai quattro anni tra i cessate il fuoco, le interruzioni e le riprese dei colloqui e ad oggi l’accordo previsto per la fine di marzo non è ancora stato siglato.
I perché sono molti e radicati profondamente nella storia e nella realtà politica colombiana: Emanuele Profumi ricercatore e giornalista prova a dare qualche risposta ai tanti interrogativi con il suo reportage “Colombia. La pace è nostra” edito da Exorma Edizioni.
Profumi realizza un lavoro che sta a metà strada tra il reportage, il saggio e il diario di viaggio, una sorta di “oggetto narrativo non identificato” come il collettivo di scrittori Wu Ming ama definire i propri ibridi narrativi.
Seguiamo l’autore passo dopo passo dall’ideazione alla complicata realizzazione di questa sua inchiesta, dai primi contatti in Italia al viaggio in Colombia fino agli incontri più importanti con Riccardo Perez, co-fondatore di Union Patriotica, con lo storico Gonzalo Sanchez e con Gloria Gaitan, figlia di Josè Gaitan, il cui assassinio nel ’48 diede vita alla violencia, il peccato originale su cui nasce la moderna Colombia.
Proprio dalla “violencia” prende avvio la narrazione di Profumi, perché senza ripercorrere gli ultimi 70 anni di storia non si comprende l’importanza delle trattative in corso.
E senza ricordare il massacro di Union Patriotica, scaturito dal tradimento del precedente tentativo di accordo nel corso degli anni ’90, non si può comprendere la diffidenza verso i governi non soltanto dei membri delle Farc, ma anche della popolazione civile.
Profumi, in mezzo a mille peripezie, incontra le organizzazioni dei campesinos, i gruppi pacifisti, si reca in visita presso la Comunità di Pace di San José de Apartadò che risiede in una terra ricca di risorse e per questo contesa tra guerriglieri, ex paramilitari e Forze Armate colombiane.
Dalle conversazioni e dalle interviste emerge il ritratto di un paese dove lo 0,4% della popolazione possiede il 60% delle terre, dove le comunità indigene e le organizzazioni dei campesinos vivono già in un modello alternativo di gestione delle terre, e per questo sempre sotto minaccia sia dell’esercito che degli ex-paramilitari. Queste realtà sono quelle che lottano contro il TLC, il trattato di libero scambio tra Stati Uniti e Colombia (una sorta di TTIP in salsa latina) e che, insieme ai sindacati e alle forze politiche di sinistra, hanno pagato il prezzo più alto in numero di morti nel corso della guerra infinita che si trascina dal 1948 fino ai giorni nostri.
I legami tra oligarchia colombiana, esercito, paramilitari e multinazionali che vogliono sempre di più mettere le mani sulle ricchezze naturali colombiane emergono chiaramente dai diversi incontri che lo studioso fa nel corso del suo viaggio.
“L’oligarchia ha sempre giocato a dire: «Facciamo pace», ammazzando la gente” dice Riccardo Perez, ricordando i 5000 morti di UP alla fine degli anni 90 e oggi il timore che quanto accaduto possa ripetersi è più vivo che mai.
Suonano quindi come una profezia le parole di Gloria Gaitan, ormai settantenne seduta al tavolo di un bistrò parigino: “Fino a quando non ci sarà un governo popolare, non ci sarà pace. […] Se si smobilitano le Farc, si formeranno delle bande. […] La marginalizzazione politica produce la guerriglia, la marginalizzazione economica il narcotraffico.”
E conclude “Hanno bisogno della pace per vendere meglio il Paese, perché le multinazionali stiano tranquille, perché non ci sia un rischio per il petrolio, per fare in modo che i territori presi dalla guerriglia, che sono pieni di mine, siano accessibili. C’è un interesse economico di fondo. La Colombia diventerà una spugna con la globalizzazione. La guerriglia ha impedito che le multinazionali entrassero nel Paese per saccheggiarlo.”
Questo quadro comincia ad essere ben chiaro a tutti, forse per questo le trattative a l’Havana languono, nonostante il fatto che anche l’ELN lo scorso marzo abbia avviato in Ecuador i colloqui di pace con il governo Santos.
Francesca Conti
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In realtà si tratta di Emanuele Profumi, non Lorenzo
Grazie Ernesto, abbiamo corretto.