467.000 morti premature all’anno, mezzo milione di persone uccise in tutta Europa da smog e inquinamento in tutta Europa. Questa carneficina emerge, finalmente, dal Rapporto “Qualità dell’aria in Europa 2016” pubblicato dall’Agenzia europea per l’ambiente (Aea). Morti che avvengono soprattutto nelle aree urbane per l’insieme degli inquinanti provocati dalla presenza dell’uomo. Per l’Unione Europea la fonte principale di questo killer invisibile è la combustione di carbone e biomasse, i trasporti, l’incenerimento dei rifiuti.
In questo contesto e con il record che vede Firenze ai vertici dell’inquinamento europeo: 31esima su 4.000 aree rilevate, e a distanza di soli nove giorni l’uno dall’altro, il 25 novembre a Firenze e il 3 dicembre a Pistoia, si terranno due convegni nazionali sul tema salute/inceneritori/combustioni/salute.
Quello fiorentino è organizzato dalla Società Italiana di Tossicologia e patrocinato dall’Ordine dei Medici di Firenze, con un focus centrato sull’incenerimento dei rifiuti. Quello pistoiese, promosso dall’Ordine dei Medici di Pistoia e dall’Associazione Medici per l’Ambiente-ISDE Italia, con il patrocinio della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCEO) è un corso di aggiornamento per medici sul tema combustioni, inquinamento, riscaldamento globale, economia circolare.
Un convegno, quello pistoiese, dedicato a Lorenzo Tomatis, già direttore dell’Agenzia Internazionale per le Ricerche sul Cancro di Lione (IARC) che così sottoscrisse:
Quando anche, per assurdo, nessuno studio epidemiologico avesse evidenziato ricadute sulla salute umana, il solo fatto che gli impianti d’incenerimento emettono un gran numero di inquinanti pericolosi e persistenti rende a nostro avviso moralmente inaccettabile continuare a esporre le popolazioni a rischi assolutamente evitabili, date le concrete alternative esistenti.
Ma come mai due convegni così ravvicinati nel tempo e nello spazio, da due Ordini dei Medici, sullo stesso tema?
A Firenze c’è il rischio che venga costruito un inceneritore e per questo nello scorso giugno 297 medici fiorentini hanno firmato un documento contro la costruzione dell’inceneritore, mentre in provincia di Pistoia, a Montale è già attivo da circa 40 anni un inceneritore, totalmente rinnovato e quindi ‘di ultima generazione’, che ha presentato due importanti sforamenti di microinquinanti nel 2007 e di micro-macroinquinanti nel 2015. In seguito a ciò l’Ordine dei Medici di Pistoia ha scritto un documento contro l’incenerimento, in cui fra l’altro si legge che “l’incenerimento non risolve il problema dei rifiuti”.
Leggendo fra le righe delle due locandine dei convegni, si può notare che entrambi dichiarano di mirare alla tutela della salute della popolazione, come è ovvio, ma con sfumature diverse. Due film che trattano più o meno lo stesso argomento ma con attori diversi. Lo scopo del ‘Focus della gestione dei rifiuti’, così si chiama il convegno fiorentino, “è l’occasione per proseguire un dibattito, già vivo e vivace nella nostra realtà fiorentina, alla luce delle più recenti e validate esperienze scientifiche”. Dai titoli degli interventi e dalla storia e attività lavorativa di alcuni partecipanti, però già si può prevedere che questo film si concluderà con l’assoluzione degli inceneritori di ultima generazione.
Mentre dal convegno ‘Processi di combustione e salute umana’, di Pistoia, seguendo il solito ragionamento, si può prevedere che uscirà un messaggio di segno opposto e cioè che l’incenerimento dei rifiuti, anche se di ultima generazione è una pratica obsoleta da abbandonare in quanto pericolosa per la salute, per l’ambiente e antieconomica, al proposito vedi il Position Paper Isde.
E l’Ordine dei Medici di Prato, nel cui territorio è attivo dal 1979 l’inceneritore di Baciacavallo, messo sotto inchiesta da vari comitati locali? E l’Ordine dei Medici di Siena, con le emissioni di mercurio dell’inceneritore di Poggibonsi del 2015? E l’Ordine dei Medici di Arezzo con l’inceneritore di San Zeno in cui uno studio epidemiologico ha evidenziato un aumento del rischio di mortalità e ricovero ospedaliero associato alle emissioni dell’inceneritore? Saremmo curiosi di sapere che cosa pensano e dicono.
*Gian Luca Garetti
Gian Luca Garetti
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La lettura del rapporto europeo mi ha proiettato nel mio passato ruolo d’insegnante di geografia di trent’anni fa, quando tenevo lezioni sulle piogge acide solforiche, causate dalle emissioni di SO2 delle centrali termoelettriche e dell’industria centroeuropee e che affliggevano anche il Nordeuropa acidificando laghi e foreste. La circolazione prevalente dell’aria nel continente era il fattore decisivo, risultando risparmiate le frange atlantiche e artiche, grazie all’aria oceanica pressoché priva di inquinanti e lavata di frequente dalla pioggia. Si faceva già allora notare come la seconda causa di sofferenza della vegetazione (e delle vie respiratorie) fosse l’ozono generato dalla reazione tra gli ossidi d’azoto (generati soprattutto dal traffico motorizzato) e l’ossigeno, in presenza di un’irraggiamento solare intenso, dunque nel Mediterraneo in primavera-estate; la Scozia e la Scandinavia, illuminate da un sole più basso sull’orizzonte, sebbene per molte più ore, ne risultavano praticamente esenti, e così ancora oggi.
Dovessi proporre una simile lezione oggi, alla luce del rapporto “Qualità dell’aria in Europa 2016”, confermerei i dati geografici, evidenziando ancora una volta come il vento atlantico e le frequenti piogge riescano a diluire e allontanare l’aria inquinatissima in Portogallo, Galizia e Asturie, mentre aria carica di polveri sottili e d’altri inquinanti aleggia sulle meno piovose e meno ventilate pianure dell’Europa centro-orientale e nelle conche interne dei Paesi mediterranei (es. Capannori e Montale in Toscana).
Oggi l’acidià solforica pare superata, non quella nitrica, e le polveri sottili PM10 e PM2.5 abbondano lontano dall’Atlantico e dall’Artico, ma non sono dovute solo alle combustioni, ma anche all’attritto di pneumatici sull’asfalto e alla componente minerale-microbica che il vento alza da terra nelle seccaginose e spoglie campagne mediterranee in estate e nel deserto, così vicino da farcene periodicamente arrivare tramite lo scirocco abbondanti dosi.
Il rapporto evidenzia come la combustione di biomasse sia una delle principali fonti d’inquinamento, specialmente nell’Europa centro-orientale (es. Austria), dove queste sono ancora oggi la principale fonte di riscaldamento, per molti mesi l’anno, nelle aree rurali; la componente riscaldamento pare prevalente.
Viene anche riportata, come da me auspicato in precedenti discussioni su questa rivista, la graduatoria qualitativa dei combustibili (pagg. 23-25): come immaginavo, i peggiori sono i residui agricoli eterogenei (es. vivaismo pistoiese), la legna mal stagionata e caricata nelle stufe/caminetti/forni antiquati in pezzataure e allestimenti che non assicurano la perfetta ossigenazione, mentre i combustibili legnosi ben asciutti, omogenei e di piccola pezzatura, bruciati in caldaie tecnologicamente avanzate, inquinano meno.
I Comuni di Dobbiaco e di San Candido (BZ) condividono, a metà strada, una centrale energetica che alimenta il teleriscaldamento, dove si bruciano fondamentalmente sottoprodotti delle segherie locali, perfetti per la combustione; l’impianto, visitabile, è tecnologicamente avanzatissimo e consente di abbattere gli inquinanti nei fumi; tuttavia, prudenzialmente, la centrale è localizzata in mezzo alla foresta.
Temo che il simile impianto di Calenzano non possa vantare le stesse virtù, se non altro perché non si trova in mezzo alla foresta ed è alimentato con legna di boschi siti fino a 50Km di distanza, portata con veicoli diesel (che bruciano combustibili fossili); ho un forte sospetto, che mi piacerebbe il Sindaco mi togliesse (ma non lo ha fatto, neanche in un’interazione radiofonica su questo tema), che nei momenti di picco la centrale sia alimentata con legna reperita sul mercato generalista, che in Italia vuol dire essenzialmente i Balcani (che viaggio!).
Concludo con una notazione storica che mi piaceva sottoporre agli studenti: l’inquinamento dell’aria e la sua dispersione erano così noti nell’Inghilterra medievale e rinascimentale, dove, in carenza di foreste, la torba era la biomassa più usata, che le classi dominanti, aristocrazia e clero, risiedevano a ovest delle città, a Westminster invece che nella City of London. Questa scelta metteva al sicuro anche da disastrosi incendi
Grazie Paolo del ricco e documentato commento! Ci potresti quasi fare un articolo …