Tema fondamentale per la corretta gestione delle città storiche, e di riflesso dell’intera città, è il possesso pubblico di un congruo numero di edifici specialistici, civili o religiosi, atti ad ospitare, in un’ottica di riappropriazione urbana, le attrezzature che connotano la vita collettiva. Si tratta in sostanza della destinazione di monumenti al sociale e alla cultura, come è avvenuto nell’esempio internazionalmente riconosciuto di Bologna, che si è mosso dall’ipotesi secondo la quale «il monumento, da sempre espressione (e sede) del potere, simbolo della classe dominante – dai signori al clero, dalla chiesa alle caserme – deve diventare il luogo della collettività»[1].
A scopo di rammemorazione, elenchiamo di seguito, senza pretesa di completezza, le attrezzature di interesse territoriale, urbano e di quartiere che potrebbero essere collocate nei “contenitori” monumentali dismessi o in dismissione, e nelle loro pertinenze.
Di interesse territoriale: università e studentati, tribunali, ospedali, teatri, biblioteche, musei.
Di interesse urbano: scuole medie superiori, biblioteche, emeroteche, mediateche, centri culturali, auditorium, centri sportivi, centri studenteschi, attrezzature speciali per la cultura e la ricerca che non possono essere di corredo ad ogni scuola (piccoli musei sperimentali con attività didattiche e laboratori, biblioteche specializzate, laboratori di ricerca e sperimentazione, atelier), residenze per studenti e anziani, parchi pubblici.
Di interesse di quartiere: scuole materne, asili, scuole elementari, scuole medie inferiori, mense scolastiche, poliambulatori preventivi, sale polivalenti per attività assembleari, per conferenze e per mostre, teatri sperimentali, circoli culturali, atelier di produzione artigianale, giardini pubblici.
Tutto ciò, laddove opportuno e necessario, concentrato in “centri di servizi” atti ad assumere il ruolo di poli di focalizzazione della vita collettiva, sapientemente disposti e intervallati all’interno del tessuto urbano.
È certo degna di interesse, in quest’ottica, la pervicacia con la quale le amministrazioni comunali fiorentine – dalla giunta Domenici, a quella Renzi, all’attuale giunta Nardella – si sono prodigate, con intensità crescente, nella vendita, o forse sarebbe più appropriato dire svendita, del patrimonio immobiliare pubblico, meglio se monumentale, quasi nel ruolo di curatori fallimentari del Comune di Firenze[2].
Contro tale tendenza dissolutiva si è mossa la lista di cittadinanza in numerose occasioni; tra queste, alcune appaiono particolarmente rilevanti per il significato più vasto che assumono: ne è un esempio lo sgombero tramite forza pubblica dell’immobile di via dei Conciatori, proprietà comunale passata alla speculazione privata, «dove da anni associazioni, gruppi e pezzi di movimento svolg[eva]no attività politica e culturale aperta alla popolazione»[3]. Così proseguiva il comunicato della lista Puc: «La proposta di autorecupero dello stabile da parte del “Progetto Conciatori” non è mai stata presa in considerazione da parte dell’Amministrazione comunale che ha proceduto con la messa in vendita dell’immobile, la sua aggiudicazione con una base d’asta irrisoria per il centro storico […] e la richiesta di esecuzione dello sgombero con la forza pubblica. Si è avallata un’operazione di speculazione urbanistica senza mai incontrare i soggetti che hanno animato le attività nell’immobile e che a più riprese avevano richiesto almeno un confronto con l’amministrazione comunale. Con questa operazione la città perde due volte, si impoverisce di una esperienza di autogestione importante per il tessuto sociale fiorentino e vede una accelerazione verso lo svuotamento del centro storico di funzioni sociali e aggregative»[4].
Sul tema del patrimonio di proprietà pubblica alienato – in più, in questo caso, di carattere monumentale e già destinato a funzioni sociali e collettive –, assume valore anche simbolico la vendita dell’ospedale San Giovanni di Dio. Così, in quell’occasione, si esprimeva la lista di cittadinanza: «L’antico ospedale di borgo Ognissanti fu fondato da Simone di Piero Vespucci che, prima di morire, nell’anno 1400, lo donò alla Compagnia di Santa Maria del Bigallo, che già si occupava di altri luoghi di cura. Ma per essere sicuro che mantenesse le caratteristiche originarie di assistenza, fissò precise condizioni: i beni mobili e immobili da lui lasciati alla Compagnia si dovevano destinare unicamente “all’ospitalità e al servizio uso e vantaggio, utilità accoglienza sostentamento dei poveri e degli infermi e delle persone miserabili per il tempo che verrà” ad esclusione di ogni altro “uso e servizio”. Si dà il caso però che, 612 anni dopo, la Asl fiorentina, nella forsennata politica di alienazioni del patrimonio che contraddistingue le attuali amministrazioni pubbliche, ha ceduto […] lo storico immobile ad una società privata anglo-belga che intende realizzarvi una residenza privata per anziani, con tanti saluti ai “poveri e alle persone miserabili”[5].
Le operazioni di svendita del patrimonio immobiliare pubblico, fino a quel momento episodiche, assurgono a regola nel marzo 2012: «L’ultima decisione dell’amministrazione sulle alienazioni di immobili di proprietà comunale da inserire nella discussione sul bilancio con contestuale cambio di destinazione d’uso per “valorizzare” gli immobili stessi, rappresenta la negazione del concetto stesso di urbanistica e di pianificazione – si legge nel comunicato della lista di cittadinanza –. Si sottrae definitivamente a qualsiasi dibattito […] una parte importante della pianificazione del territorio: senza alcuna valutazione […] di equilibri urbani […], di distribuzione complessiva delle funzioni sul territorio cittadino, si pretende di intervenire, solo per un immediato vantaggio economico, con scelte che avranno conseguenze importanti […]. Nel merito poi si continua l’impoverimento del patrimonio pubblico, l’alienazione di beni ambientalmente rilevanti come la villa di Rusciano»[6], quattrocentesca, sull’arco collinare che cinge a Sud la città, a un tiro di schioppo dai popolati rioni di Ricorboli e Gavinana, giunta in proprietà al Comune di Firenze in seguito ad un lascito con la clausola, analogamente allo spedale di San Giovanni di Dio, del perseguimento di finalità istituzionali a favore dei minori.
Non sfugge alla lista perUnaltracittà, d’altra parte, la fondamentale importanza del popolamento della città storica: il tema dell’edilizia residenziale pubblica nella città entro le mura arnolfiane – da realizzarsi tramite recupero –, viene ribadito con costanza in sede consiliare e nelle attività politico-culturali organizzate a margine dalla lista medesima. Durante l’elaborazione del Piano Strutturale da parte dell’amministrazione comunale, la lista promuove numerose iniziative, tra cui un convegno in Palazzo Vecchio, durante il quale si auspica «la riscoperta dei “centri storici” come “grembo” della rinascita della città attraverso il loro ripopolamento»[7], con un «grande cantiere, fatto come un arcipelago di tante isole sperimentali, strutturato come un processo partecipato di rivitalizzazione del centro storico, dei suoi ambiti verdi e degli spazi civili»[8].
E ancora: il nuovo Piano Strutturale «si deve caratterizzare come Piano del risarcimento urbano in cui prevedere modalità di restituzione alla città e ai suoi abitanti dei beni primari sottratti in questi anni. Proponiamo quindi che le aree dismesse, le alienazioni del Comune e dello Stato siano il serbatoio necessario per queste operazioni di riequilibrio ecologico della città, le bombole d’ossigeno che consentono di evitare il soffocamento di Firenze; è necessario prevedere […] una voce specifica relativa al Risarcimento, ossia alla quota parte di patrimonio immobiliare dismesso (pubblico e privato) da utilizzare per la dotazione dei servizi pubblici (aree verdi attrezzate, spazi pubblici, centri di quartiere, verde di prossimità, corridoi ecologici ciclo-pedonali, ecc.) e dell’edilizia residenziale sociale di ciascuna zona»[9].
Nello stesso ambito temporale, il Gruppo Urbanistica perUnaltracittà produceva un Manuale d’uso per un Piano Strutturale partecipato, trasparente e a consumo di suolo zero, nel quale si affrontava partitamente il tema della città storica; sulla residenza così ci si esprimeva: «Il desertum contemporaneo è la città intramuros […]. PerUnaltracittà ha già formulato la proposta di incrementare le residenze popolari nel centro storico, secondo l’esempio, ancora, di Bologna del 1972, o il più recente di Saint-Macaire (presso Bordeaux). È perciò necessario bloccare le alienazioni degli alloggi pubblici e pensare a nuove acquisizioni di abitazioni per formare un patrimonio di case da concedere in locazione alle famiglie delle fasce deboli, utilizzando a questo fine i fondi per l’edilizia residenziale pubblica»[10]. Certo, anche i “contenitori storici dismessi” o in dismissione (Sant’Orsola, ospedale militare di San Gallo, caserma Cavalli, tribunali, etc.) potrebbero in parte servire allo scopo: «la loro possibile destinazione a atelier di produzione artigianale, a luoghi deputati alla socialità, a servizi, ma anche a residenze sociali, soddisfa il criterio dell’utilità collettiva»[11]. Nel senso appena illustrato va l’intervento della capogruppo Puc in consiglio comunale nel momento in cui si profila il passaggio dei beni demaniali al Comune, ivi comprese le caserme dismesse, «da utilizzare in primo luogo per affrontare l’emergenza abitativa, e non per farci speculazioni». Si ritiene infatti «necessario definire da subito quali dei grandi contenitori dismessi della città saranno destinati all’Edilizia Residenziale Pubblica per rispondere alle tante persone che vivono l’emergenza abitativa»[12].
La presentazione delle osservazioni al Piano Strutturale adottato dal Consiglio comunale è l’occasione per ribadire quale sia l’approccio della lista di cittadinanza alla pianificazione della città storica. L’osservazione sul tema chiede infatti:
«di integrare il PS, nelle sue parti conoscitive, grafiche e disciplinari, con una specifica elaborazione relativa alla città storica, articolata in:
– accrescimento del Quadro Conoscitivo, anche avvalendosi di studi e progetti elaborati dall’Università degli Studi di Firenze;
– introduzione di specifiche salvaguardie che operino in attesa del Regolamento Urbanistico, e che limitino le possibili trasformazioni del tessuto e del patrimonio storico, attualmente espressione in prevalenza di fenomeni speculativi, di espulsione di residenti, di sfruttamento intensivo a fini commerciali e turistici;
– introduzione di specifiche e vincolanti prescrizioni al Regolamento Urbanistico perché sia redatto uno strumento di dettaglio che disciplini le trasformazioni e gli interventi ammissibili nel contesto della città storica, dagli interventi edilizi ai caratteri degli elementi di arredo urbano».
Tale strumento, che nella consuetudine urbanistica italiana ha assunto la forma di Piano particolareggiato esecutivo per il centro storico, si porrà gli obbiettivi principali di:
«– operare per la salvaguardia del tessuto urbano storico nei suoi caratteri materici, figurativi e tipologici;
– promuovere il mantenimento e il reinsediamento della residenza stabile, del commercio di vicinato e delle attività artigianali e di servizio alla residenza;
– riconoscere e valorizzare il ruolo degli spazi sociali e di relazione, sottraendoli alle logiche di sfruttamento intensivo turistico e/o speculativo, quali elementi fondamentali per la vita dell’organismo urbano»[13].
Tema di accese polemiche tra i cittadini e l’amministrazione comunale è stato quello dei previsti parcheggi interrati nelle piazze storiche fiorentine. Nell’incontro Parcheggi interrati nella città storica: le ragioni del no, una esponente della lista di cittadinanza, chiariva i termini delle questione:
«I parcheggi interrati nella città storica sono da evitare per più ordini di ragioni, anche qualora fossero realizzati con meccanismi finanziari e concessòri trasparenti, e secondo pratiche pianificatorie condivise. Innanzitutto dal punto di vista della tutela degli insediamenti di carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale, che è un obbligo costituzionale[14]. Le piazze storiche, di proprietà collettiva, sono a tutti gli effetti patrimonio monumentale nella loro consistenza aerea, subaerea e ipogea: la conversione della loro superficie lastricata in solaio cementizio (segnato dalle grate di aerazione) del sottostante garage non deve essere consentita. In secondo luogo, è convincimento diffuso globalmente che i centri urbani debbano essere liberati dalla morsa del traffico privato su gomma e, possibilmente, dalle automobili medesime: un parcheggio interrato si limita invece a nascondere sotto il tappeto parte delle automobili in sosta, attraendo contemporaneamente nuovi volumi di traffico non residente. La gestione in project financing comporta infatti tariffe orarie elevate destinate all’uso veloce e, non favorendo la sosta di chi abita nel quartiere, di fatto contribuisce al processo in atto di gentrification ed estromissione dei residenti»[15].
Va da sé che un approccio alla gestione della città fondato sul recupero, implica l’esistenza e lo sviluppo di competenze artigiane di alto livello e un’alta intensità di lavoro, come traspare dalle riflessioni sul tema condotte dalla lista di cittadinanza: «È tempo di invertire la marcia: si è indicata la via […] per muovere investimenti produttivi e lavoro di tipo sostenibile. Bisogna compiere un passaggio obbligato verso la “città paesaggio” considerando la trasformazione, la manutenzione o il restauro dell’esistente come fattori di qualità urbana»[16].
E ancora, instaurando un’analogia tra città storica e villaggio:
«occorrerebbe che le azioni sulla città storica si inquadrassero nella dimensione della cura, delle pratiche positive, orientate a ciò che Gandhi definiva autonomia di villaggio: autonomia nella produzione e riproduzione di risorse (alimentari, energetiche, culturali etc.) e di saper fare, di riappropriazione dei saperi. Su quest’ultimo punto, la città può offrire molto in termini di lavoro di prossimità e di alta manualità. Scalpellini per il ripristino e manutenzione dei selciati; muratori, restauratori, falegnami, imbianchini per l’edilizia storica nonché produzione di atlanti e guide per il suo recupero; fontanieri (in una città così poco generosa d’acque); artigiani di qualità, che esercitano a scala familiare la produzione manuale, secondo modelli e tecniche tradizionali, attualmente soffocati dagli affitti e dalla normativa che li equipara a industrie di piccola (ma mica tanto) dimensione. Chi scrive – prosegue Ilaria Agostini – ritiene necessario e possibile prefigurare strategie che prevedano l’istituzione di uno status speciale per l’artigiano della città storica che consenta l’affrancamento dal vigente sistema contributivo e previdenziale, e la liberazione dalla rendita privata attraverso l’istituzione di appositi locali pubblici destinati a laboratori artigiani, nonché attraverso la libertà dell’apprendistato»[17].
Un accenno è infine inevitabile al tema della cosiddetta pedonalizzazione della via che lambisce Duomo e Battistero. Si è trattato in realtà dell’eliminazione del trasporto pubblico (autobus urbani e taxi) che vi transitava e che serviva la zona, essendovi il trasporto privato già interdetto da molti anni. La fruizione, da parte degli abitanti di Firenze, dei luoghi centrali della città ne è risultata ostacolata, se non impedita. È banale osservare che garantire l’accessibilità pubblica del centro monumentale della città rientrerebbe tra i compiti di un’amministrazione che volesse dirsi adeguata al ruolo che riveste.
* Daniele Vannetiello
[Il testo è apparso nel libro Urbanistica resistente nella Firenze neoliberista: perUnaltracittà 2004-2014, a cura di Ilaria Agostini, Aión, Firenze, 2016, pp. 79-87; del libro, abbiamo già pubblicato i capitoli: Un’altra idea di città, della curatrice; Firenze 2004-2014. Un caso nazionale, di Paolo Berdini; Dal Palazzo al città, e ritorno di Ornella de Zordo; L’urbanistica in consiglio comunale di Maurizio Da Re; Comunicare il pensiero critico di Cristiano Lucchi; Piani neoliberisti, Ilaria Agostini; La città in svendita, Maurizio de Zordo]
Note al testo
[1] Pier Luigi Cervellati, Una politica per i monumenti, “Parametro”, settembre 1974, n. 29 (num. monogr. Bologna, Centro storico: gli antichi «contenitori» oggi), pp. 53-54.
[2] La semplice elencazione degli edifici in vendita, o in trasformazione, è disarmante: teatro Comunale, palazzo Vivarelli Colonna, palazzo Demidoff, il convento dei Filippini in piazza San Firenze, l’ospedale di San Giovanni di Dio, la villa di Rusciano, il cosiddetto palazzo del Sonno, la caserma in Costa San Giorgio, il Monte dei Pegni di via Palazzuolo, l’ex Borsa merci in via Por Santa Maria, l’ex cinema Capitol alla loggia del Grano, il complesso delle Murate, le poste di Michelucci in via Pietrapiana, la Cassa di Risparmio di via Bufalini (operazione “valorizzata” dalla prossimità di uno dei dieci parcheggio interrati previsti nel Ps), l’ex convento di Sant’Orsola in via Guelfa, palazzo Portinari ex Banca toscana sul Corso, la Scuola allievi sottoufficiali nel convento di Santa Maria Novella, la Corte d’assise in via Cavour progettata da Bernardo Buontalenti, l’ex Ospedale militare in via San Gallo, il Tribunale per i minori in via della Scala, l’Accademia di Sanità militare in via Tripoli, la Scuola di Sanità militare nell’ex convento del Maglio, il convento di Monte Oliveto sulla collina di Bellosguardo, la Caserma Cavalli in piazza del Cestello, la Dogana in via Valfonda, la Caserma Baldissera sull’Arno, la Rotonda di Brunelleschi e il contiguo convento, il teatro Nazionale e il Supercinema in via de’ Cerchi-Cimatori, il cinema Eolo in San Frediano, l’ospedale di Bonifazio (sede della Questura). E infine, ma la lista è suscettibile di quotidiane aggiunte, la ex stazione Leopolda, emblema del nuovo corso politico. Tra le aree e gli edifici in vendita fuori le mura, ma nella periferia consolidata, merita ricordare alcuni luoghi di lunghe vertenze: la Manifattura Tabacchi, il Panificio militare e il Meccanotessile. Cfr. Ilaria Agostini, Città merce o città felice?, “La Città invisibile”, n. 31, 28 novembre 2015 [N.d.C.].
[3] Via dei Conciatori sgomberata. Difesa con la forza la speculazione urbanistica, com. stampa Puc, Firenze, 19 gennaio 2012.
[4] Ibidem.
[5] Celebrazioni vespucciane. De Zordo: «Amerigo Vespucci non è più a casa sua», com. stampa Puc, Firenze, 22 febbraio 2012.
[6] Alienazioni e cambio di destinazione d’uso. De Zordo: «Ecco la norma che cancella l’urbanistica», com. stampa Puc, Firenze, 9 marzo 2012.
[7] La “città paesaggio”. Dieci punti (concreti) per l’urbanistica virtuosa, contro il malaffare, com. stampa Puc, Firenze, 21 marzo 2010.
[8] Ibidem.
[9] Piano Strutturale: «Carta Costituzionale» del territorio. Regole per salvaguardare risorse ambientali e risarcire l’interesse pubblico, com. stampa Puc, Firenze, 19 aprile 2010.
[10] Ilaria Agostini, Daniele Vannetiello, La città storica: la grande assente? in Gruppo Urbanistica Puc, Manuale d’uso per un Piano Strutturale partecipato, trasparente e a consumo di suolo zero, Puc, Firenze, 2010, p. 17.
[11] Ivi, p. 18.
[12] Allarme beni demaniali: «Subito un confronto con il governo», com. stampa Puc, Firenze, 2 luglio 2010.
[13] Osservazione n. 9, Città storica, in Verso il nuovo Piano Strutturale di Firenze. Le osservazioni di perUnaltracittà-Lista di cittadinanza, Puc, Firenze, 2011, p. 36. Sul tema della necessità, a Firenze, di un Piano per la città storica, si veda l’esauriente disamina di Gian Franco Di Pietro, Quale destino per il centro storico?, in Pietro Giorgieri (a cura di), Firenze. Il progetto urbanistico. Scritti e contributi 1975-2010, Alinea, Firenze, 2010, pp. 275-301.
[14] Specificato dalla «Carta di Gubbio (1960) che riconosceva il valore di monumento all’insieme degli elementi che formano la città storica» (Ilaria Agostini, Parcheggi interrati a Firenze: la città storica nella cornice del disastro, intervento all’incontro Parcheggi interrati nella città storica: le ragioni del no, organizzato da Comitato Oltrarnofuturo e Comitato per piazza Brunelleschi, con la collaborazione della ReTe dei comitati per la difesa del territorio e della lista consiliare Puc, Firenze, 13 giugno 2013). Se ne deduce che, in quest’ambito spaziale, il restauro, in tutte le sue gradazioni (dalla manutenzione al ripristino) e accezioni, è l’unico metodo di intervento da consentirsi.
[15] Ibidem.
[16] Firenze è satura di edilizia, non possiamo bruciare altro suolo. L’opinione dell’urbanista Budini Gattai condivisa con perUnaltracittà, com. stampa Puc, Firenze, 9 luglio 2010.
[17] Agostini, Parcheggi interrati a Firenze: la città storica nella cornice del disastro cit. I temi qui citati sono stati affrontati dall’autrice nei saggi: Ead., Dal restauro urbano al «dov’era, ma non com’era». Dialogo con Pier Luigi Cervellati sulla cultura della città storica, “in_bo. Ricerche e progetti per il territorio, la città e l’architettura”, giugno 2013, n. 6, pp. 277-288, in particolare per quanto attiene al lavoro artigianale connesso al recupero degli insediamenti storici; ed Ead., La cultura della città storica in Italia, “Scienze del territorio”, 2015, n. 3 (num. monogr. Ricostruire la città, a cura di Enzo Scandurra e Carlo Cellamare), pp. 97-103, che ricostruisce l’evoluzione del pensiero urbanistico sul tema della città storica, dalle ipotesi postbelliche alla Carta di Gubbio, al piano di Bologna, alla parabola discendente e all’auspicata «rinascita critica».
Daniele Vannetiello
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