In questi giorni è stato reso pubblico il resoconto della missione in Toscana della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali a esse correlati svoltasi nel febbraio 2017. Il 16 febbraio scroso si svolse l’audizione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Massa Aldo Giubilaro e dei suoi Sostituti Procuratori Alessia Iacopini e Alberto Dello Iacono.
Qui il verbale completo dell’audizione.
Il quadro reso dai vertici della Procura della Repubblica massese è stato semplicemente drammatico, descrivendo una situazione di incancrenita illegalità ambientale.Il Procuratore Giubilaro è stato chiaro: “Quello delle cave è un mondo per certi versi staccato da tutto e da tutti, un mondo a sé, un mondo chiuso. Normalmente, i titolari delle aziende che operano le estrazioni dalle cave per una serie di motivi vecchi, ormai abbastanza incancreniti sul territorio, sostanzialmente le gestiscono come se fossero delle cose del tutto private e personali. Questa è un po’ la sensazione, ma più che una sensazione, è quasi una forma di realtà”. Così “fino a circa due anni fa, i controlli erano uno, forse due per cava – a due non si arrivava – ogni cinque o sei anni. Agevolati dalle condizioni, dalla situazione del momento, erano portati a fare quello che volevano. … Vorrei dire che i controlli preventivi, a posteriori, erano quasi inesistenti”.
I procedimenti penali da parte della magistratura sono stati avviati in un quadro di desolazione dei controlli amministrativi e di scarsità di personale e mezzi da dedicare alle indagini e agli accertamenti. L’assenza di normali mezzi tecnologici, come i droni, per esempio, fa sì che gli accessi ai siti di cava siano visti dai cavatori con grande anticipo, così da far sparire per tempo quante più irregolarità possibile.
Gravissimo è l’inquinamento delle acque a causa della marmettola (marmo finemente tritato scaricato negli impluvi e corsi d’acqua): la Procura ha “accertato che la marmettola, che dovrebbe seguire una certa procedura di smaltimento o di utilizzo, di fatto viene abbandonata nella cava o, in alternativa, riutilizzata ad esempio per costruire dei cordoli, che però sono di marmettola, e quindi hanno ben poca tenuta, o viene utilizzata per costruire delle sorte di letti per l’atterraggio dei blocchi, che vengono tagliati. Sia la marmettola che viene semplicemente abbandonata sia quella utilizzata in questo modo, di fatto, si disperde nell’ambiente. O viene trascinata via dalle acque quando piove, infatti, o semplicemente a causa del vento, degli agenti atmosferici, viene trasportata via, con tutti gli effetti” inquinanti.
Gravi le carenze di legge sulla natura di sottoprodotto o meno della marmettola, gravi i limiti delle attività di accertamento, perché sarebbe necessario individuare la singola attività estrattiva responsabile del singolo inquinamento per incardinare la responsabilità penale.
Non si tratta di aspetti marginali, visto che “tutti i possibili reati che possono essere commessi nell’ambito della lavorazione delle stazioni delle cave. Non si tratta solo di marmettola: rifiuti, vincolo idrogeologico, vincolo sismico, urbanistico, vincolo paesaggistico, tutti i possibili reati, che sono circa 35, previsti da tutte le norme possibili”.
Per non parlare delle autorizzazioni estrattive – problematica ampiamente evidenziata anche dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – perché “alle conferenze dei servizi le amministrazioni spesso non prendono neanche parte seppure invitate, quindi anche tutte le autorizzazioni che dovrebbero essere richieste dai titolari delle cave di fatto vengono superate dalla conferenza dei servizi. Così, ad esempio, ci è stato detto che non sussiste il reato in relazione a ettari ed ettari di bosco letteralmente distrutto: essendoci stata la conferenza dei servizi, c’era l’autorizzazione anche in relazione al vincolo paesaggistico. Il problema è questo. Di fatto, viene autorizzato tutto”.
Con il decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127, che ha radicalmente modificato in negativo le disposizioni inerenti la conferenza di servizi, infatti, basta la maggioranza dei pareri favorevoli delle amministrazioni pubbliche presenti per ottenere in concreto le autorizzazioni estrattive.
Nessuna sentenza di condanna per i reati ambientali, come emerge chiaramente dall’audizione, perché “nessuno se ne è occupato” e perché anche nella magistratura locale “si è portati a svalutare questo tipo di situazioni, in modo da avere sempre un approccio accomodante, accondiscendente, verso l’imprenditore del marmo”. Per esempio, “si era chiesto il sequestro, per via della marmettola, dappertutto in una cava in particolare, rilevata attraverso riprese video, rilevata attraverso fotografie, rilevata attraverso accertamento dell’ARPAT, rilevata in tutte le possibili maniere. La finalità sarebbe stata quella di sequestrare la cava – chiaramente, si sarebbe bloccata l’attività – e dire che sarebbe stata dissequestrata non appena messa a posto. Questo non è stato fatto” perché “noi (la Procura, n.d.r.) abbiamo chiesto, il Gip ci ha negato il sequestro. Abbiamo fatto il riesame, ma anche il Tribunale del riesame non l’ha accolto. Nel massimo rispetto per l’intelligenza dei colleghi, del giudicante, le motivazioni ci fanno un po’intuire – non ho nessun motivo per poterlo affermare con assoluta certezza – che ci sia una forma di accondiscendenza”.
Le parole del Procuratore Giubilaro sono chiare. E delineano un quadro di una gravità assoluta: le Alpi Apuane sono di fatto il Far West delle cave di marmo, parola di Procuratore della Repubblica. Eppure rare sono state le reazioni da parte delle forze politiche e sociali, delle organizzazioni imprenditoriali, dell’associazionismo.
Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, da anni impegnato – con il suo Presidio Apuane in prima linea – per la difesa dell’ambiente, del territorio e della salute nell’area, non accetta in alcun modo questo deprimente stato di cose e continuerà con ancor maggiore determinazione la dura battaglia per la legalità, l’ambiente, la salute.
*Stefano Deliperi
http://gruppodinterventogiuridicoweb.com
Intervento giuridico
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E’ uno scempio intollerabile. Si distrugge un ambiente esistente da milioni di anni, di una bellezza naturale unica.
La sostanza dell’intervento mi trova naturalmente d’accordo. Conosco bene le Apuane da decine di anni e continuo a frequentarle con affetto; quello che ho visto e continuo a vedere lascia sbalorditi ma l’Italia è questa. Un intero territorio devastato, abbandonato, quando non serve più, in completo pericolo per chi lo frequenta o frequenta certe zone. Mi rendo disponibile per una chiacchierata informativa alla quale potrebbero partecipare anche altre persone.
Questo stato di cose peraltro rende idrogeologicamente fragile e orribile il paesaggio, sempre più simile a gironi danteschi.
Per questo Andrei Konchalovsky non ha potuto girare esterni in cava per il suo film “Il peccato – una visione”, dovendo ripegare su l’Altissimo nel Comune di Seravezza, dove Michelangelo lavorò assai poco (ma rischiò di perdere la vita), come del resto aveva già fatto Carol Reed nel 1965 per il suo “Il tormento e l’estasi”.
Di questo scempio paesaggistico e naturalistico risente anche il turismo; non a caso la Camera di Commercio di Massa e Carrara nel suo rapporto Economia 2017 http://www.isr-ms.it/uploads/files/375it-Rapporto_Economia_2017_slide.pdf fa notare come dal 2000 al 2016 la provincia apuana abbia perso 700.000 presenze (40%), con Carrara che ha ormai pochissimi alberghi e un turismo delle seconde case (dal valore immobiliare sempre più basso) in progressiva discesa.
I giovani sono fuggiti più che da ogni altra città toscana. La disoccupazione è ai massimi regionali.
Si vive male per far star bene poche imprese, che peraltro hanno ormai pochi dipendenti?