C’era una volta…
Fino a non molto tempo fa chi arrivava all’areoporto di Pisa aveva, oltre ai taxi, due comodi ed efficienti mezzi pubblici. Il primo era un autobus – la “Linea ad alta mobilità rossa-LAM” – che partendo dallo scalo raccoglieva l’utenza del quartiere di San Giusto, transitava alla Stazione Centrale e poi proseguiva per il Duomo, consentendo ai turisti di accedere direttamente non solo ai monumenti del centro storico ma anche a molti degli alberghi. Il secondo era un treno
esistente fin dagli anni ‘80, collegato con la rete ferroviaria e che quindi consentiva di arrivare fino al centro di Firenze senza effettuare cambi. Oltre all’indubbia comodità, entrambi questi mezzi erano molto economici, in particolare l’autobus con il suo biglietto da 1,20 euri.
Insomma: una situazione sostanzialmente soddisfacente per tutti, utenti dell’aeroporto e abitanti del quartiere.
Ciononostante, e con una tenacia degna di miglior causa, la Regione Toscana e il Comune di Pisa hanno scelto invece di ridisegnare il sistema di trasporti mediante un progetto che a meno di un anno dalla sua messa in opera mostra già crepe profonde, del resto ampiamente previste, e prefigura scenari in cui il fallimento dell’operazione andrà a gravare sulle tasche dei cittadini, come del resto già avviene per altre grandi opere tanto vantate dalle amministrazioni del Pd quanto motivatamente avversate dalle opposizioni di sinistra.
La falsa panacea del project financing
Come sempre nel caso delle grandi opere, districare i motivi di un fallimento è un’operazione un po’ laboriosa ma alla base di tutto stanno i vincoli e i meccanismi che sono stati inventati – e in Italia adottati più massicciamente che altrove – per mandare in pensione l’intervento pubblico e per favorire l’intervento privato, dai tagli alla spesa pubblica fino ai vari istituti del partenariato pubblico-privato (concessione di opere e di servizi pubblici, project financing, leasing finanziario, cmpartecipazioni a società miste).
Una modernizzazione fatta di vacui slogan
Tutti questi elementi parlano anzitutto di declino economico, di smantellamento programmato della gestione pubblica di servizi essenziali, di politiche neoliberiste di austerità e di cospicui favori ai poteri forti e devono quindi essere venduti all’elettorato mediante una robusta operazione di cosmesi verbale.
Una cosmesi che si effettua di solito facendo ricorso a un ormai rodato repertorio retorico neoliberista: le smart city, la necessità inaggirabile di posizionare la città nella competizione globale, anzi di tramutarla in vero e proprio strumento competitivo, il ritorno a una visione estatica del futuro non molto diversa da quella della prima metà degli anni Sessanta, quando però la macchina economica globale navigava con le vele gonfie su un mare che sembrava un olio. Abbondanti tracce di questa retorica si trovano di conseguenza nella vicenda del people mover pisano, tanto in documenti ufficiali del Comune di Pisa (“lo sviluppo competitivo e sostenibile delle città ed in particolare della Smart City”) quanto solenni dichiarazioni pubbliche (Enrico Rossi: “Tassello importante verso la Toscana del futuro”; Stefano Ciuoffo: “Questa opera rappresenta un passo importante per dare qualità. È segno di efficienza e modernità e la velocità con cui è stata realizzata dimostra la nostra capacità di intervento”).
Una modernizzazione facilona
In realtà poiché le grandi opere rispondono molto più alle esigenze finanziarie di soggetti privati che agli effettivi bisogni delle città e di chi le vive, il loro livello di complessità teorica e progettuale è molto basso. Quel che conta per i soggetti pubblici è infatti agguantare qualche finanziamento europeo e riuscire a realizzare qualcosa – a volte persino una cosa qualsiasi – senza dover tirare fuori soldi. Per gli investitori privati invece l’essenziale è vendere dei pacchetti ingegneristici standard spendendo il meno possibile e facendo i profitti più alti possibili con la ridente prospettiva di non dover affrontare rischi sul piano della redditività dell’operazione perché nei contratti ci sono sempre clausole che accollano le perdite ai contribuenti.
Inoltre, come osservava tempo fa il sindacalista Massimo Covello, “l’opera ‘faraonica’, a prescindere dalle ragioni pur essenziali di impatto ambientale e di inutilità sociale è un bluff dal punto di vista strettamente economico-industriale. Le troppe risorse, concentrate e orientate dalla politica attraverso il fallimentare e famigerato meccanismo del general contractor, alimentano, in combinato disposto col project financing, evidenti speculazioni finanziarie per le
solite imprese, imponendo alle altre imprese attività solo in subappalto. Una competizione al ribasso sui costi, a partire dalla sicurezza e dai salari, che non aiuta affatto la crescita e l’innovazione delle imprese e che porta all’esclusione delle imprese socialmente responsabili. E’ evidente, viceversa, che siano gli investimenti per opere utili e diffuse a creare più opportunità e a coinvolgere direttamente più imprese”.
Sul versante degli enti locali questi meccanismi comportano la rinuncia a elaborare piani e politiche più complesse, attente anzitutto ai vari contesti – sociale, ambientale – in cui le opere pubbliche si collocano. E quando questa rinuncia diventa sistematica quella che si impone è per lo più una modernizzazione facilona e povera di idee, nella quale – se e quando capita – si accettano progetti chiavi in mano che hanno rapporti tenuissimi se non nulli con le esigenze del
territorio e della cittadinanza.
Coerentemente con tutte queste premesse il Pisa Mover – come molte grandi opere messe in cantiere negli ultimi anni in Italia – testimonia di un’abdicazione in parte subita e in parte accettata di buon grado al controllo e alla progettazione pubblica del futuro delle città, del territorio e della vita collettiva. Ma testimonia anche di una subalternità mentale e operativa alla logica e agli interessi della speculazione finanziaria, ampiamente favorita dalle normative
escogitate negli ultimi decenni tanto in Italia quanto in Europa.
Il progetto
La vicenda del Pisa Mover è incominciata attorno al 2011 col manifestarsi di una classica “opportunità”: una ventina di milioni di fondi europei FESR da spendere in fretta, non oltre il 2017, in origine destinati alla navigabilità dello scolmatore livornese e che per l’eccessiva complessità e costosità della proposta furono dirottati su Pisa, che era stata invece sufficientemente abile da mettere sul piatto un progettino più agile ed economico.
Con “soli” 70 milioni in tutto – a differenza dei 200 dello scolmatore – Pisa riusciva a portare a casa un bel gadget tecnologico col relativo ritorno di immagine senza metterci sopra un soldo. Dopo un po’ di tira e molla, con cifre che ballavano, nel novembre 2014 l’accordo si trovava in questi termini: 21 milioni per la realizzazione sistema di trasporto e dei relativi parcheggi li tirava fuori l’Unione europea e una cinquantina di milioni li tiravano fuori i soggetti privati, mentre la Regione Toscana continuava a sborsare 830.000 euro l’anno per il funzionamento della linea come aveva fatto in precedenza col treno. L’investitore privato (cioè il potente gruppo Condotte) sarebbe stato remunerato – oltre che col rimborso annuo regionale – con la concessione per 35 anni e una tariffa piuttosto “robusta” di 2,7 euro a corsa. Come in tutti gli accordi di partenariato pubblico-privato il concessionario si assumeva il cosiddetto “rischio di domanda”, cioè il rischio che gli introiti avrebbero potuto essere insufficienti, ma il Comune si impegnava dal canto suo ad “attenuarlo” mettendoci insomma soldi dei contribuenti, ma senza specificare a che condizioni e in che proporzione. Se ne sarebbe parlato, eventualmente, al momento in cui le cose fossero andate male.
Questo l’accordo.
Fini dichiarati e non
Il progetto del Pisa Mover e poi gli accordi relativi si basavano sulle aspettative del Comune e dei concessionari di cui s’è detto più su, sulla serena convinzione che il traffico passeggeri dell’aeroporto pisano avrebbe continuato a crescere ai ritmi favolosi degli anni precedenti che in pochi anni lo avevano proiettato nel 2010 all’11° posto a livello nazionale – ma al 6° se si consideravano solo gli arrivi internazionali – e su qualche grande opera collaterale che faceva gola a molti. Anzitutto la cosiddetta “cittadella areoportuale”, comparsa improvvisamente, senza discussione preventiva e senza nessun collegamento con gli strumenti di pianificazione territoriale, nel marzo 2014. Si trattava di un’astronave composta da una struttura congressuale e di alcuni alberghi che si sarebbe abbattuta su una zona già ingolfata di strutture viarie,
ferroviarie, di parcheggi, con un suolo già in gran parte impermeabilizzato e un quartiere – San Giusto – già da tempo in crisi a causa di questo affollamento. E senza nessuna considerazione per il fatto che Pisa ha già dotazioni congressuali e ricettive in quantità largamente sufficienti per rispondere a una domanda in crescita.
Difetti, incongruenze strategiche, rischi, guai giudiziari
La messa in moto della macchina del Pisa Mover e della cittadella aeroportuale – opera poi per fortuna rapidamente tramontata – avvenne agitando una serie di vantaggi marginali o del tutto inventati.
Tra quelli marginali la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Tra quelli inventati, l’intermodalità, ribadita anche da Enrico Rossi al momento dell’inaugurazione. Ma se intermodalità significa integrazione tra mezzi di tipo diverso e gestione sistemica delle reti di trasporto, il Pisa Mover costituisce un perfetto esempio di anti-intermodalità. Rigidamente isolato da tutti gli altri mezzi, non inserito organicamente nella rete delle strade ferrate, isolato dal centro della città, alieno da qualsiasi logica di sistema, il trenino avveniristico se ne sta per conto suo e rompe anzi – come abbiamo visto – una logica precedente molto più sistemica.
In secondo luogo le ottimistiche previsioni degli amministratori pisani ignoravano totalmente all’inizio ma hanno colpevolmente continuato a ignorare anche dopo i rischi legati alle strategie renziane di privilegiamento dello scalo aeroportuale fiorentino. Ci si è trovati perciò nella situazione paradossale di un Comune che continuava a magnificare i vantaggi di un sistema di trasporto tarato su delle aspettative di crescita dell’aeroporto di Pisa che da un certo momento
in poi lo stesso partito degli amministratori comunali ha deciso di picconare. Quando infatti le manovre del giglio magico renziano per relegare l’areoporto di Pisa in secondo piano rispetto a quello di Firenze si sono via via concretizzate, gli amministratori di Pisa non hanno fatto che accodarsi docilmente nel timore che il terribile ragazzo di Rignano – all’epoca apparentemente invincibile – relegasse anche loro nelle retrovie piddine.
Come se non bastasse, il Pisa Mover si è ritrovato a un certo momento a fare da testimonial
del carattere potenzialmente criminogeno del sistema italiano delle grandi opere. Nell’ottobre
del 2016, infatti, tutti i vertici delle società che gestivano il progetto sono finiti in carcere con
imputazioni che andavano dall’associazione a delinquere alla corruzione per vicende riguardanti
diverse opere in tutta la penisola e per centinaia di milioni di euro. Per dirla con il “Sole 24 ore”:
“un meccanismo rodato di corruzione e subappalti manipolati per mungere denaro pubblico da
maxi-lavori, come l’Alta velocità Milano-Genova, l’Autostrada Salerno-Reggio Calabria e il
People Mover, che collega la stazione di Pisa con l’aeroporto. Molti di questi lavori sono stati
pagati pur non essendo stati mai realizzati o anche se hanno dimostrato gravissimi difetti di
realizzazione”.
Alternative non considerate
Del resto era stato sin dalla sua prima comparsa che il progetto del Pisa Mover si era attirato critiche severe e ben argomentate, critiche che andavano ben oltre la scarsa trasparenza e i rischi criminogeni di operazioni del genere. Per quanto – almeno in teoria – la realizzazione fosse a costo zero per l’amministrazione locale, che anzi approfittava di un significativo finanziamento europeo, furono in molti a osservare che 70 milioni di euri per poco più di un chilometro e mezzo di tracciato costituissero, al di là di ogni altra considerazione, una spesa decisamente spropositata. Il professor Piero Pierotti fece notare, ad esempio come l’analogo progetto veneziano, con un percorso soprelevato di 900 metri e finanziato integralmente dalla locale azienda di trasporti, era costato appena 22 milioni di euri e poteva essere utilizzato con i normali biglietti orari della rete di trasporti cittadina. Lo stesso Pierotti indicò – se proprio si fosse voluto introdurre delle innovazioni – un’alternativa molto più razionale ed economica che venne accolta nel programma della coalizione Città in comune-Rifondazione comunista: un collegamento mediante tapis roulant di soli 500 metri tra l’aeroporto e una stazione intermedia posta sulla linea ferroviaria ordinaria Livorno-Firenze.
Ma non era quello del risparmio e dell’intermodalità, come si è visto, l’interesse prevalente in consiglio comunale e in consiglio regionale.
Un’opera inutile e dannosa
Il people mover pisano è così andato avanti senza soste, nonostante perplessità diffuse, critiche e inciampi giudiziari, fino alla sua inaugurazione nel marzo 2017. Il nuovo sistema di mobilità, come denunciato da sempre, sostituisce un tronco ferroviario non obsoleto, perfettamente funzionante, dai prezzi più economici e che soprattutto garantiva un collegamento diretto con la stazione centrale di Firenze. Come se ciò non bastasse l’amministrazione comunale ha ridisegnato il tracciato delle linee cittadine di autobus veloci eliminandone una e rendendo molto più farraginose le altre per poter abolire il terminal areoportuale. Se infatti la linea veloce di autobus aeroporto-Duomo fosse rimasta in funzione
per quale mai motivo una persona avrebbe dovuto scegliere il people mover che costava il doppio e finiva in un remoto angolo della stazione ferroviaria di Pisa Centrale?
Insomma, conseguenze della “razionalizzazione” delle linee di autobus ad alta mobilità: un servizio comodo ed economico in meno per gli utenti dell’aeroporto e disagi per gli abitanti del quartiere San Giusto costretti a servirsi di autobus dai tracciati più lunghi e contorti.
Il flop
Ironicamente, appena due giorni prima dell’inaugurazione dell’opera compariva sul sito specializzato cityrailways.com una lunga analisi tecnica dell’ingegnere romano Andrea Spinosa, esperto di trasporti urbani, intitolata “Il Pisa Mover come paradigma dell’assenza di efficacia nella pianificazione dei trasporti” in cui l’autore non solo denunciava la perdita secca di intermodalità – attuale ma anche potenziale – verificatasi col nuovo sistema ma chiariva dati alla mano come assai difficilmente esso avrebbe potuto realizzare la redditività prevista. Al contrario, esso era non solo meno economico in assoluto del vecchio sistema ma molto probabilmente si sarebbe rivelato una fonte di perdite.
I mesi successivi hanno dato ragione sia ai dubbi di tutti coloro che sin dall’inizio si sono opposti all’opera sia alle previsioni di Spinosa: i parcheggi di Pisa Mover sono rimasti desolatamente vuoti e si sono via via moltiplicati i tentativi di promuovere – attraverso pubblicità, sconti e iniziative speciali – un servizio che evidentemente non riesce a girare come dovrebbe. A sancire in modo ufficiale il flop è stato un documento di fine dicembre emesso dal Comune di Pisa che
certifica come dal 26 marzo al 31 ottobre l’introito per le soste lunghe (superiori alle 18 ore) nei due grandi parcheggi del sistema Pisa Mover è stato di 8.200 euri, pari a una media di 15 macchine al giorno.
Si è arrivati al punto che anche gli operatori economici della città, di solito golosi di gadget tecnologici e di novità spettacolari, si sono espressi con parole di fuoco contro il Pisa Mover. Parole che curiosamente ricalcano quelle usate per anni dall’opposizione di sinistra. E’ il caso della presidente della Confcommercio pisana, Federica Grassini: “Il nodo delle infrastrutture è fondamentale per lo sviluppo economico, ma errori come il Pisa Mover debbono rappresentare un monito e un esempio da non seguire per il futuro. Cambiare per cambiare non serve a niente e soprattutto non aiuta la città a crescere davvero. Il Pisa Mover è un esempio eclatante di come un fiume di denaro pubblico vada a finanziare una infrastruttura inutilmente costosa, senza reali ed effettivi benefici per la città”.
Oltre al danno, il danno futuro
In queste condizioni sulla città – che dal Pisa Mover ha finora tratto quasi esclusivamente disagi e diseconomie – incombe molto prevedibilmente il rischio di dover dirottare per anni quote consistenti delle magre risorse finanziarie comunali per evitare agli investitori privati le perdite derivanti dalla gestione dell’opera. Né sarebbe uno scenario nuovo, visto che la multinazionale spagnola Saba sta sifonando quantità di danaro e di concessioni sempre maggiori dal Comune di Pisa a causa del sostanziale fallimento di un’altra grande opera, avviata nel 2002 sempre mediante project financing dall’allora sindaco Pd Fontanelli: il parcheggio sotterraneo di Piazza Vittorio Emanuele. Ricorrenze non casuali, del resto, in quanto le giunte Fontanelli e poi le giunte Filippeschi non solo hanno condiviso il colore politico ma anche la cultura urbanistica – glamour e amica delle grandi imprese – di cui si è discorso più su.
E infine
Il Pisa Mover è un fallimento a più dimensioni: è un flop economico destinato a ricadere sulle casse pubbliche; testimonia l’abbandono di politiche territoriali e del trasporto organiche in nome dell’inseguimento dell’“occasione da cogliere a volo”; è una fonte di disagi non solo per gli abitanti ma paradossalmente anche per gli utenti; è – soprattutto – una resa dell’intelligenza, della razionalità. Eppure a un ceto politico come quello pisano tutto questo non insegna nulla: altre grandi opere del tutto analoghe sono infatti caldeggiate, propagandate, esaltate, spinte avanti, come se nulla fosse avvenuto, come se non si evidenziassero anche per esse delle criticità enormi, dei forti rischi, dei sicuri danni. E’ il caso della busvia che dovrebbe collegare la Stazione con l’Ospedale di Cisanello stravolgendo il traffico cittadino per guadagnare quattro minuti o anche la tangenziale nord-est, destinata a cementificare un territorio già saturo e a grave rischio idrogeologico, sacrificando aree di grande valore paesaggistico ed economico. Tutto questo a noi insegna invece che ciò che è indispensabile – a Pisa come in Toscana – è un cambio radicale: di cultura amministrativa e ma soprattutto di gruppi dirigenti.
*Luigi Piccioni
Luigi Piccioni
Ultimi post di Luigi Piccioni (vedi tutti)
- Grandi opere. Pisa Mover, un disastro annunciato - 9 Gennaio 2018
Nell’ottobre scorso sono andato e tornato a piedi dal marciapiede della stazione FS all’aeroporto con un leggero trolley in 20′ approfittando del bel tempo che invitava a fare una passeggiata attraverso San Giusto. In passato ero solito scegliere treni veloci diretti da Firenze
Un riassunto perfetto di un opera che si doveva non fare, ma che ora ce l’abbiamo. Ma quali sono le soluzioni oltre alla denuncia? Anche creare le basi per prevenire da nuovi progetti inutili e/o dannosi è un obiettivo, ma meglio sarebbe cercare tutti insieme delle soluzioni per ridurre il danno. Perchè non fare delle proposte per correggere gli errori che hanno portato al fallimento? Perchè il parcheggio scambiatore è vuoto? Forse non può essere la soluzione per l’aereoporto, ma potrebbe essere una soluzione per alleggerire la città dal traffico. Non ci sono persone che arrivano da fuori Pisa centro usando la FiPiLi? Forse è il caso di chiudere completamente il centro storico al traffico veicolare per forzare viabilità alternative? Forse è la stazione come fermata terminale che non va bene, con un arrivo dalla parte sbagliata e non verso il centro città? Forse l’ambiente non proprio gradevole che si respira in zona stazione? Io sono uno di quei pochi che lo usano, lo trovo comodo, vengo dalla parte ovest della città (cisanello) e per andare in centro è comodo ed economico fermarsi allo scambiatore e con 2,50 euro parcheggiare tutto il giorno compreso il biglietto A/R Confermo che il progetto è fatto male. Poche e poco chiare indicazioni, su costi e funzionamento, un percorso senza senso per arrivare ai treni. Un senso di desolazione e insicurezza che aumenta quando arrivi alla stazione. Tutti problemi risolvibili con poche risorse, per cercare di rendere un opera ormai esistente in un qualcosa di utile per la città. Come collegamento con Firenze oggi sono sempre numerosi gli autobus purtroppo. Aumentano il traffico sulla già congestionata FiPiLi, forse far diventare il moover una specie di collegamento interno verso la stazione, ma cambiano l’arrivo in stazione, con un collegamento diretto sul binario per Firenze. Ci sono turisti che di corsa con il trolley lottano con le scarse informazioni in stazione dalla parte del moover con ascensori spesso guasti, cercano il binario del treno per firenze,
Forse con pochi investimenti aggiuntivi (e non una stupida pubblicità) si potrebbe ancora correggere un progetto sbagliato, sopratutto nei dettagli. Il tutto senza dimenticarsi nel futuro cosa è stato e cosa è costato
Complimenti per la ricostruzione della vicenda, una ricostruzione che mette in luce tutte le conseguenze negative dell’opera.
Mi sembra che un effetto molto grave sia l’interruzione del servizio ferroviario diretto con Firenze. Molti anni fa era stata studiata l’ipotesi di un collegamento diretto, in modo da avere il check-in alla stazione di Firenze, per un certo periodo attivato. Se si pensa che un collegamento diretto velocizzato avrebbe concorso a smontare l’ipotesi di espansione dell’aeroporto di Firenze, si può concludere che quella che appare un’operazione locale di assalto ai fondi pubblici forse copre, o almeno è funzionale a, un gioco più ampio, regionale, nel quale anche Firenze ha i suoi vantaggi.