Per questo succede che in Europa si discuta di Agricoltura e che nel nostro Paese il tutto passi sotto silenzio o quasi, non fosse per il tentativo sempre generosissimo del mondo ecologista, di Fridays for Future, di Exctinction Rebellion, di Greenpeace, del Wwf, di rompere il silenzio ovattato dell’indifferenza, dell’ignoranza generalizzata.

Eppure l’agricoltura oggi è uno snodo gigantesco per il presente e il futuro del nostro Paese, e del nostro mondo. Si parla di una realtà che ha a che vedere con le emissioni climalteranti, quelle che dobbiamo per forza ridurre almeno del 55% – entro il 2030 – rispetto al livello del 1990 (e non basterà). Che ha a che vedere con la tutela del territorio dalle frane, con lo spopolamento dell’entroterra, di paesi e campagne, con la chimica, con l’industria farmaceutica, con l’inquinamento delle acque, con la biodiversità.
L’Ipbes, la piattaforma sulla biodiversità dell’Onu, ci dice che le varietà agricole hanno perso, in natura, più biodiversità rispetto ad ogni altra tipologia di esseri viventi: il 75%. Perché l’agricoltura e l’allevamento industriale hanno selezionato e omologato le varietà alla logica dell’efficienza economica, scegliendo con criteri puramente commerciali quali varietà far riprodurre, abbandonando tutte le altre meno redditizie. E poi l’agricoltura ha a che vedere con i giovani, perché per tante e tanti, con una coscienza e una consapevolezza nuova, rispetto alle passate generazioni, la scelta dell’agricoltura diventa, oltre che lavoro, anche dimensione esistenziale, di socialità e socializzazione “altra”. Pensiamo sui nostri territori alla bella realtà di Mondeggi.
Da questo punto di vista, la Commissione Europea, aveva dato alcuni segnali incoraggianti. La proposta presentata nel 2018 dalla precedente Commissione, ma confermata dalla nuova Commissione Von der Leyen, sembrava andare nella giusta direzione. Non solo: la stessa Commissione, aveva poi successivamente licenziato, il Green Deal, e le due “Strategie”, della Biodiversità, e “From farm to fork”, dal campo alla forchetta, per la tracciabilità e la garanzia della filiera. Semmai ci si aspettava quindi un aggiustamento al rialzo, delle ambizioni della Pac, rispetto a quanto partorito nel 2018, in coerenza con i suddetti provvedimenti emessi successivamente. Invece è avvenuto il contrario: il Consiglio d’Europa (l’assemblea dei 27 stati membri, dove la nostra Teresa Bellanova non ha fatto mistero di aver portato gli interessi della grandi aziende) e il Parlamento Europeo – con l’accordo tra i tre gruppi dei socialisti democratici (in Italia, il Pd), dei Popolari (Forza Italia), dei liberali (Italia Viva e Più Europa), che hanno messo in minoranza i Verdi e la sinistra – hanno abbassato di parecchio le ambizioni rispetto alla proposta della Commissione, provocando la protesta e la delusione del mondo ambientalista, ma anche lo sconcerto della Commissione stessa, con il Commissario all’Agricoltura che si è spinto a dire, che la nuova Pac come uscita dal parlamento europeo, non è coerente col green new deal. Sono stati ripristinati persino, senza più alcuna previsione di riduzione, neppure graduale, i finanziamenti agli allevamenti intensivi, che sono il non plus ultra, delle emissioni climalteranti. Ammorbidite le già minimali previsioni di abbattimento dell’uso di fertilizzanti e antibiotici.
E’ importante però dire che non è ancora finita. Dopo che si sono espressi i tre organismi dell’Unione, Parlamento, Commissione, Consiglio, ora inizia la discussione a tre, per arrivare ad una sintesi. E la discussione durerà mesi, probabilmente più di un anno.

Mauro Romanelli

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