Biblioteca Braidense, per cenare tra i tomi antichi basta pagare

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A Milano si è celebrato il primo anniversario della nascita di un noto brand di make-up. Il palazzo di Brera per l’occasione é stato allestito in tono con il committente della serata, ravvivato da musica dal vivo, dj set e pizza in chiusura nel cortile d’onore. Il clou della serata però si è svolto nelle sale della Biblioteca nazionale Braidense, in cui gli ospiti hanno potuto consumare una lussuosa cena tra preziosi tomi che solitamente vengono toccati con l’ausilio di guanti.  Alcuni utenti nella biblioteca hanno messo in evidenza la criticità di questa scelta. Il dibattito, partito da Instagram, è arrivato anche ai media tradizionali. La biblioteca ha condiviso una storia (con promo delle aziende coinvolte) in cui si vedono i tavoli da consultazione apparecchiati in una sala in cui, normalmente, non si possono consumare cibi o bevande. Subito sono piovute sulla Biblioteca e su Brera le critiche per aver permesso un simile evento in un contesto così delicato, in cui gli utenti devono rispettare norme stringenti per poter studiare e consultare il materiale. Ma, sia chiaro, non è una novità: basta pagare e tutto è concesso.

Solo in Brera, tra sfilate ed eventi del fuori salone, utenti e studenti sono spesso messi in secondo o terzo piano rispetto agli ospiti privati. Allargando lo sguardo, in questi anni abbiamo assistito a cene ovunque, da Ponte Vecchio a Palazzo Ducale al Colosseo, e a eventi privati come la recente fiera di un’azienda di gioielli alle Terme di Diocleziano, a causa della quale il museo è stato quasi totalmente chiuso per due settimane. A essere messo sotto accusa, quindi, è stato ancora una volta il modello di gestione dei luoghi della cultura, come conferma la pioggia di commenti critici e ironici sotto il post della Biblioteca Braidense.

Stavolta, però, a differenza di altre, la titolare dell’azienda organizzatrice della cena alla Braidense ha sentito il bisogno di rispondere alle critiche, sottolineando di aver pagato e rispettato tutte le regole, ma soprattutto spiegando quanto salvifici siano i privati per i beni culturali italiani e che lei ha preferito Brera all’altra location propostale (un hotel) per poter fare pubblicità alla Pinacoteca, dove non era mai stata.
Il pagamento di una somma di denaro giustificherebbe quindi l’occupazione e lo sfruttamento a piacimento dello spazio pubblico da parte dei privati, con associazione di nome e logo al luogo, in nome di una fantomatica valorizzazione. Non è vero, lo ribadiamo: sono le aziende a beneficiare della visibilità e della legittimazione concessa dall’utilizzo di luoghi culturali pubblici celeberrimi, e non viceversa. Noi continueremo a denunciare questo modello, che viene strumentalmente giustificato dalla scarsità di risorse pubbliche messe a disposizione del nostro patrimonio culturale e che quindi vede nel privato l’unica soluzione possibile per la sua sopravvivenza.

Proprio perché i musei, le biblioteche e gli altri luoghi della cultura sono pubblici, quindi di fatto finanziati con le nostre tasse (Brera conta su milioni di euro pubblici l’anno, non sulle noccioline degli affitti privati), non può stupire che, dal basso, possa montare indignazione e contestazione nei confronti di cene apparecchiate in luoghi attraversati ogni anno da migliaia di studenti e studiosi. Ai privati consigliamo di tornare a organizzare i propri eventi negli hotel, ai dirigenti dei luoghi della cultura chiediamo di arginare questa deriva e di smetterla di pensare che tutto si possa affittare in nome di un autofinanziamento umiliante. La valorizzazione del patrimonio culturale è una cosa seria.

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