La mia esperienza a Cheirapsies, un luogo sicuro per le persone migranti

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Tra il 2020 e il 2022, attraverso il lavoro congiunto di tre associazioni,  “One bridge to-”, “Aletheia RCS”, “Vasilika Moon”, vedono la luce due progetti che hanno come obiettivo fondante quello di supportare le persone in movimento, i migranti sulla rotta Balcanica. Ambedue hanno sede in Grecia. Il primo nella Capitale, il secondo a Corinto.

Il progetto di Atene si articola intorno all’offerta di prestazioni per l’orientamento ai vari servizi utili per le persone migranti presenti in città. Quello di Corinto si costruisce intorno a uno spazio sociale, un community center, all’interno del quale vengono forniti vari servizi: sostegno alimentare, orientamento legale e al lavoro, assistenza medica, corsi di lingua e vestiario in spazi dedicati a donne, uomini e bambini, attività ludico-ricreative. Si tratta di due spazi sociali, in cui le persone migranti, spesso residenti nei campi governativi e in attesa del riconoscimento di status di rifugiato, possono rivolgersi per la risoluzione di una serie di problematiche. Il progetto con sede a Corinto è a tutti gli effetti uno spazio di incontro, in cui è possibile anche solo recarsi, bere un chai, giocare a carte, chiacchierare in un contesto sicuro che ha come principi fondanti giustizia ed equità.

Entrambi i contesti tentano, almeno in parte, di sopperire alle enormi mancanze del sistema di accoglienza greco, che garantisce esclusivamente un primo livello emergenziale, fortemente carente rispetto alle tutele legali e ai servizi essenziali.

Nella ricerca del pieno rispetto dei diritti umani le tre associazioni scelgono di non accettare finanziamenti europei – ed evitare così di sottostare alle logiche delle politiche migratorie messe in atto dall’Unione Europea -. I finanziamenti giungono unicamente dai volontari e da donazioni esterne.

All’inizio di novembre del 2024 sono partita alla volta di Corinto per intraprendere un’esperienza di volontariato nel Community Center Cheirapsies. Si è trattato di un periodo breve, un solo mese, ma la percezione del tempo trascorso in questo luogo è stata molto diversa da quello percepito nel quotidiano. L’impressione è di entrare in una bolla di realtà, densa di umanità, di diversità che non crea distanze ma viene accolta come ricchezza. Cosa assai più rara nella realtà quotidiana in cui siamo immersi.

La sensazione iniziale è di spaesamento, tutto è nuovo, lo spazio, le persone, volontari e residenti del Campo, la città, le attività da svolgere. Ma bastano pochi giorni per dissipare la confusione, sentirsi a proprio agio e diventare operativi. Poco a poco le distanze si accorciano e si iniziano a intessere relazioni con le persone che frequentano lo spazio.

Tutti i volontari condividono una grande casa a Lutraki, cittadina situata a 4 km da Corinto. Per raggiungere il Community Center vengono messi a disposizione un Van, una macchina e alcune biciclette. La giornata lavorativa ha inizio alle 10 e termina alle 18. Ogni volontario è responsabile di alcuni focal points che si differenziano in base al tempo di permanenza, alle competenze specifiche e agli interessi personali. C’è chi si occupa di Job research, chi è responsabile di registrare nel database le persone arrivate da poco nel Campo che vogliono usufruire dei servizi offerti da Cheirapsies, chi organizza gli spazi dedicati ai tre target specifici, donne, uomini, bambini, chi svolge le lezioni di lingua e così via. È richiesta inoltre un’appropriata dose di adattamento e flessibilità in quanto alcuni compiti richiesti posso variare di giorno in giorno in base alle necessità.

Da circa un anno il ruolo di Coordinatrice è svolto da Matilde, ex volontaria che dopo l’esperienza ha scelto di rimanere e tramite le sue competenze e il suo impegno è stata assunta a capo del coordinamento del Community Center di Corinto.

Il primo giorno di lavoro Matilde offre una breve ma densa formazione a ogni nuovo volontario, riguardante la situazione politica greca, che si interseca alle scelte europee, il sistema di accoglienza e i mutamenti storici degli ultimi anni, l’etica e le regole del Centro. La Coordinatrice afferma che il Community Center è soprattutto un luogo di incontro, uno spazio sicuro dove i residenti del Campo possono sentirsi a proprio agio, un posto in cui le categorie imposte dal sistema si affievoliscono e le persone possono scrollarsi di dosso, almeno in parte, quelle rigide etichette che li classificano esclusivamente per il loro essere migranti, richiedenti asilo, stranieri. Un luogo dove le persone possono tornare a essere “solo” persone.

Durante la formazione Matilde ci tiene a sottolineare che il Centro è un ambiente accogliente, in cui la dimensione formale lascia spazio a quella colloquiale. Ma bisogna comunque fare attenzione e mantenere un certo grado di distanza per non risultare invadenti o creare fraintendimenti. Molto importante è per esempio non essere affrettati nel fare domande che possano essere percepite come inopportune dalle persone. Alcuni degli assidui o meno frequentatori del Centro risiedono a Corinto da mesi o addirittura anni e hanno visto arrivare e ripartire un gran numero di volontari. Per instaurare rapporti di fiducia ci vuole tempo e non tutti sono disposti o hanno voglia di condividere la propria esperienza di viaggio migratorio, il proprio passato o la situazione attuale.

Il Community Center è di norma molto frequentato. Alcuni passano quasi tutti i giorni, altri solo per prendere da mangiare, altri ancora per andare alle lezioni di lingua o partecipare alle attività. In questo luogo si incontrano ogni giorno esistenze, culture, vissuti totalmente diversi gli uni dagli altri ma nella mia breve esperienza non ho percepito atteggiamenti razzisti, escludenti, di paura o chiusura. Un posto come questo è una realtà preziosa, costruita su principi di equità che sono facilmente percepibili sia tra volontari e utenti, sia tra utente e utente. Ci sono famiglie con bambini, uomini e donne più o meno giovani, adolescenti. I paesi di provenienza sono vari. Tra gli originari dell’Africa vi sono in maggioranza, eritrei, somali, sudanesi, congolesi; tra gli originari del Medio Oriente, siriani, palestinesi, libanesi, afghani, curdi, iraniani e iracheni. Alterità che si incontrano, giocano, parlano, fumano una sigaretta o bevono un chai. Qui le distanze si assottigliano e a volte sembrano scomparire a differenza del “mondo reale”. È sorprendente realizzare come le persone riescano a sviluppare tanta resilienza, nonostante la precarietà e le condizioni di vita nel Campo.

Sarebbe davvero importante costellare il territorio italiano di spazi come questo, in cui gli autoctoni e non si incontrano, in cui avvengono scambi che arricchiscono e accorciano le distanze, un luogo in cui sentirsi al sicuro, protetti in parte dai pregiudizi diffusi e dall’emarginazione quotidiana. (continua)

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Caterina Conti

Caterina Conti, laurea triennale in Scienze Politiche, Relazioni Internazionali all'Università degli Studi di Firenze e laurea magistrale in Scienze Storiche e Orientalistiche alla Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Al termine di entrambi i percorsi ho presentato una tesi sui temi delle migrazioni dall'Africa Subsahariana, le Politiche migratorie Italiane ed europee e le testimonianze delle persone migranti come potente fonte alternativa di sapere che riporti al centro dei fatti gli individui. Per la stesura di entrambe le tesi ho collaborato con il Progetto DiMMi, che compie ogni anno il fondamentale lavoro di raccolta, custodia e divulgazione delle storie di persone immigrate nel nostro paese.

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