Sono passati solo pochi giorni dal grande incendio che ha devastato la capitale mondiale del cinema Los Angeles, e sembra quasi che la notizia non ci riguardi o quanto meno non interessi più alla massa (sempre che lo fosse stata): nei Tg e sui giornali se ne è parlato come mero fatto di cronaca senza addentrarsi mai nella questione, nelle cause che lo hanno prodotto e scatenato.
I negazionisti dei cambiamenti climatici intonano ad ogni episodio negativo la solita banale, violenta, irritante ed ignorante tiritera che afferma che “il clima è sempre cambiato”, senza entrare nel merito dei fatti ed attaccando frontalmente persino la comunità scientifica quasi totalmente unanime, rea di essere al soldo del nemico di turno (oggi la Cina).
La disinformazione programmata ha riguardato anche questi incendi accostandoli a storie prive di ogni fondamento, ad illazioni da bar con l’unico obiettivo conclamato di creare confusione nell’opinione pubblica nei confronti delle politiche di salvaguardia ambientale americane, non più confermate ufficialmente dalla nuova presidenza affidata ad un magnate economico di dubbia fama e origine come Trump, per nascondere sotto al tappeto le reali cause di questi tragici eventi ed i contesti nei quali si sviluppano.
Sì, è vero, il clima è già cambiato molti anni fa (252 milioni per l’esattezza, era il periodo Permiano) e non è stata certo una passeggiata di salute per l’intero pianeta, dato che ha prodotto l’estinzione dal 75 al 90% di ogni forma di vita presente e lo sconvolgimento delle terre (l’uomo, per fortuna ancora non c’era).
Tale cambiamento fu dovuto alla produzione di un’enorme quantità di CO2 presente nell’atmosfera a causa delle continue eruzioni dei vulcani, ma oggi è l’attività umana a prendere il loro posto.
Recenti studi di organismi scientifici internazionali (IPPC in testa) ipotizzano danni non classificabili con estensione planetaria già a partire dal un “semplice” aumento di 1,5 gradi atmosferici nel corso dei prossimi 30-50 anni, figuriamoci il quadro apocalittico se non si interviene programmando una seria e concreta diminuzione globale di queste emissioni prodotte artificialmente e con varie modalità.
Le conseguenze? Lo sconvolgimento del senso stesso della vita che si caratterizzerebbe in una sopravvivenza continua e difficoltosa in balìa di fattori non più prevedibili e contrastabili (per non parlare delle ingenti quantità di denaro per…rimettere tutto a posto).
Gli incendi californiani sono solamente l’atto più recente.
Los Angeles è battuta spesso dai “venti di Sant’Ana”, grandi masse d’aria con velocissimi tragitti verticali dall’alto in basso che si presentano alla base dei monti che la circondano, venti secchi e con raffiche fino a 170 kM orari. Una pacchia per i piccoli focolai.
Ma qual è la causa scatenante che ne ha amplificato l’effetto?
La scienza identifica nella cosiddetta “volatilità climatica”, ovvero il passaggio repentino tra condizioni meteo fortemente umide a secche e viceversa, dalle previsioni di effetti violenti, estesi, persistenti e soprattutto ripetibili in un breve lasso di tempo.
Un semplice esempio per capire di cosa si parla. Questi processi fisici derivanti dai cambiamenti climatici estremi possono far assomigliare l’atmosfera ad una grande spugna in grado di assorbire tutta l’umidità che si viene a creare, di norma del 7% per ogni grado di temperatura immesso. Ciò porta alla presenza di enormi quantità di vapore acqueo derivanti dal riscaldamento terrestre e dei mari; tale vapore si trasforma ben presto in ingenti masse d’acqua che prima o poi devono essere rilasciate sotto forma di disastrose precipitazioni mai conosciute finora. Se durante gli anni le precipitazioni invernali sono scarse, si crea l’habitat umido e secco che porta al fenomeno appena enunciato.
Proprio nel caso di Los Angeles la NOOA (National Oceanic and Atmospheric Administration), un organismo federale che tratta lo studio del rapporto tra oceani e clima, è arrivato alla conclusione che l’incendio di Los Angeles è derivato da questa ipotesi, trovando terreno fertile in una serie di complicazioni tecniche e umane e della presenza massiccia di arbusti e piante sempre più secche.
Il cambiamento climatico di tipo antropico (sfruttamento del suolo e dei mari, emissioni illimitate, cementificazione, allevamenti intensivi, ecc.) però non è la sola causa delle conseguenze, ma l’amplificazione su larga scala delle stesse.
Un altro grande bacino d’acqua è sotto i riflettori internazionali delle comunità di studio e scientifiche e ci riguarda molto, molto da vicino, un mare che detiene in sé tutte le possibilità negative di arrecare danni a chi vive nei suoi paraggi se non difeso adeguatamente, il Mediterraneo.
Ne riparleremo presto.

Giuseppe Fasulo

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