La notizia di una morte per overdose a Sollicciano, raggiunge una città solitamente addormentata di fronte al problema della droga e della sua diffusione. Nel carcere fiorentino poi, ormai quasi non fa più clamore il fatto che una persona muoia, dopo che ben undici detenuti si sono tolti la vita negli ultimi tre anni. Siamo davanti, in tutta evidenza, ad un luogo dove la speranza non trova spazio o esiste in un’unica forma: la speranza di morire.
di Vincenzo Russo
Già Cappellano di Sollicciano
Tale, all’interno, è la condizione esistenziale che ogni progetto di vita soffoca presto sotto il peso di un degrado che riguarda ogni aspetto, materiale e psicologico. Intorno a questa morte dilagante dentro quelle mura, regna il silenzio: quello della paura di chi si trova in quello strazio, quello del mondo fuori, disattento a quanto accade e incapace di reagire.
Lo stesso silenzio, però, occupa anche la città dei liberi. E’ quello che non parla di ciò che urgente, che non affronta ciò che non è più rinviabile. Se si muore di overdose dentro il carcere, ciò significa che la droga è un problema endemico in città. La sua diffusione in quel luogo è solo un riflesso di quello che avviene all’esterno, tra le nostre strade e piazze. Questo è ormai un fatto appurato, di cui nessuno può dirsi inconsapevole visto che, sempre più spesso, anche i fatti di cronaca ne danno contezza.
Eppure, mentre le sostanze circolano abbondanti e indisturbate nei vari angoli della città e coinvolgono ormai persone appartenenti alle varie età e condizioni, allo stesso tempo non circolano a sufficienza idee e fatti capaci di contrastare il fenomeno. L’utilizzo è sempre più diffuso e gli affari della criminalità sono evidentemente ingenti, la salute pubblica è messa in difficoltà, ma con tutto ciò non vi è una proporzionata attenzione al problema.
Il morto per overdose a Sollicciano fa notizia, ragion per cui se ne parla. Ma il silenzio avvolge quelle tante persone che, lontane dai riflettori dell’interesse pubblico, vivono altrettante condizioni di disperazione al punto di affidare la propria speranza alla risorsa della droga, a causa della quale conoscono la rovina della propria vita.
Di fronte al richiamo della giusta attenzione da porre a questo tema, certo non manca la reazione legalistica e repressiva che invoca più controlli e più polizia, con il corredo di pene più rigide ed inflessibili. Ma nessuno parla della necessità di una nuova speranza, di azioni in favore di una comunità più aperta, accogliente ed orientata alla vita. Si spendono parole per invocare carcere ma non si fa altrettanto per investire in educazione, istruzione e formazione dei giovani, in tutte quelle necessarie politiche di inclusione sociale di contrasto alla marginalità e al degrado.
Firenze rimane in silenzio mentre, altrettanto silente, scorre dentro di sé il fiume della droga. Forse la sua endemicità è divenuta sinonimo di resa, di convivenza, di accettazione di qualcosa che non può non esserci. Forse sono troppo altri e difficili da contrastare gli interessi in gioco e, coloro che sono chiamati a farlo, non investono sufficiente impegno e coraggio nel farlo. Così va bene a tutti… tranne a coloro, la maggioranza, che a causa di questo rovinano la propria vita, si ammalano, muoiono.
La morte per overdose è un pieno di disperazione. Nessuna cosa può evitarla se non un pieno di vita e di relazioni. Questo è l’obiettivo per la nostra comunità, per ciascuno, e la politica non deve essere orientata ad altro. Ma, nel frattempo, il silenzio permane, incomprensibile, mentre come coperta nasconde al futuro le flebili speranze di vite fragili, oscurando alla vista mani che, su questa disperazione, stringono patti di affari e costruiscono la ricchezza di pochi.
È silenzio, solo lievemente disturbato dal sommesso scorrere del fiume di droga e, accanto, di quello di sangue che da esso origina.

Vincenzo Russo

Un concetto chiave. Il carcere non è fuori dal mondo, anche se tendiamo a dimenticare. Grazie Vincenzo