PFAS in Toscana: l’immobilismo delle istituzioni di fronte all’inquinamento

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A seguito dell’indagine di Greenpeace sulla presenza di PFAS nelle acque potabili, che ha evidenziato una presenza significativa di queste sostanze nelle aree più industrializzate del Centro-Nord, le reazioni da parte delle istituzioni sono state molto diverse, a seconda dei territori.

La Regione Umbria ha incontrato Greenpeace dichiarandosi disponibile ad avviare un monitoraggio puntuale delle proprie acque, e pochi giorni dopo ha aderito e dato sostegno alla campagna per una legge nazionale che vieti l’uso dei PFAS.

La Regione Piemonte ha avviato un biomonitoraggio per rilevare la presenza di PFAS nel sangue dei cittadini nella zona del polo chimico di Spinetta, dove ha sede l’unica azienda che ancora oggi produce PFAS in Italia – un’iniziativa già in corso da tempo in Veneto, nell’area della Miteni.

da Greenpeace Italy, 27 Marzo 2025

La società SMAT, che gestisce il servizio idrico nell’area metropolitana di Torino, ha dichiarato di non essere in grado di depurare le acque reflue per l’elevata presenza di PFAS, individuandone le origini nelle industrie galvaniche e negli impianti di smaltimento rifiuti, e ha chiesto l’introduzione di limiti più stringenti.

In Parlamento, sulla questione PFAS sono state presentate tre mozioni: da Greenpeace, dall’Alleanza Verdi e Sinistra e dal Partito Democratico.

Si è mosso persino il Governo: è stato presentato un decreto legge che riduce i limiti dei PFAS nelle acque potabili rispetto a quelli previsti dalla normativa europea, che entrerà in vigore nel 2026.

Ben diversa è la situazione in Toscana.

Nonostante il report di Greenpeace del 2023, che documentava la presenza di PFAS negli scarichi industriali dei comparti cartario, tessile, conciario e vivaistico, e nonostante le sollecitazioni rivolte alla Regione da oltre 50 associazioni, non c’è stata alcuna risposta. Anzi, l’assessore regionale all’Ambiente ha dichiarato alla testata Avvenire di avere “altre priorità”.

Il quadro è peggiorato ulteriormente con la pubblicazione dei dati sulla presenza di PFAS nelle acque potabili da parte di Greenpeace. I gestori si sono limitati ad affermare che “i parametri di legge sono rispettati”, e qualcuno è arrivato addirittura a minacciare denunce per “procurato allarme”.

Emblematico il caso della maggioranza del Comune di Arezzo, che ha reagito con parole offensive verso Greenpeace, ignorando il merito dell’iniziativa: aver sollevato una questione sanitaria e ambientale di primaria importanza. La “mappa dei veleni” realizzata da Greenpeace, come più volte dichiarato, non ha valore statistico ma rappresenta un’istantanea utile a segnalare un rischio che nessuno finora aveva voluto affrontare apertamente.

L’assessore all’Ambiente, invece di attaccare, dovrebbe piuttosto concentrare la propria attenzione sulle industrie galvaniche – particolarmente presenti nella provincia – che, come dimostrato da studi scientifici, sono tra i principali utilizzatori di PFAS.

Sorprende anche che alcune associazioni ambientaliste abbiano dichiarato di fidarsi solo dei dati forniti da ASL e ARPAT. Peccato cha da un Accesso agli atti fatto dalle associazioni che aderiscono alle Rete Zero PFAS toscana rivolte alle ASL Centro, Nord Ovest e Sud Est, emerge che attualmente non viene effettuato alcun monitoraggio sui PFAS nelle acque potabili, nemmeno sui sei composti già vietati per legge. Le ASL si limitano ad affidarsi ai gestori, cioè a soggetti controllati, rinunciando al proprio ruolo di controllo.

Anche per quanto riguarda la presenza di PFAS negli alimenti, i risultati sono deludenti: due ASL hanno effettuato pochissime analisi (letteralmente contabili sulle dita di una mano), mentre un’altra ha risposto fornendo dati sul biota raccolti da ARPAT, che non rispondono minimamente alla richiesta specifica.

ARPAT, da parte sua, effettua poche analisi – su acque sotterranee, superficiali, marine, per la potabilizzazione e sul biota – che tuttavia già mostrano la presenza di criticità. Ma alla nostra richiesta di accesso ai dati sugli scarichi industriali ci è stato risposto che non dispongono delle metodologie e non sono attrezzati per questo tipo di indagini. La stessa risposta è stata fornita anche in sede di commissioni consiliari locali. Stiamo ancora aspettando una risposta alla nostra richiesta di incontro inviata all’Arpat nel luglio 2024.

Poiché alcuni gestori idrici, come SMAT a Torino, sembrano essere attrezzati per affrontare queste analisi, ci auguriamo che anche i gestori toscani – che secondo normativa regionale sono incaricati delle analisi sugli scarichi in fognatura – rendano pubblici i dati in loro possesso.

È grave dover dipendere da chi dovrebbe essere oggetto del controllo, mentre gli organi preposti, per proprie colpe o per mancanza di personale e fondi (questi ultimi erogati dalla Regione), non riescono a svolgere il proprio compito.

Ci auguriamo che in Toscana il tanto sbandierato principio “chi inquina paga” non resti una vuota dichiarazione, ma trovi applicazione concreta, basata su dati certi e trasparenti.

Ce lo auguriamo per la salute delle giovani generazioni – le più vulnerabili agli effetti dei PFAS – e per garantire a quelle future un ambiente sano e vivibile.

Marco Cardone per Trasparenza per Empoli

Rossella Michelotti per Forum Toscano Movimenti per l’Acqua

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