La moderna radicalità della fratellanza

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Ripubblichiamo un saggio di Piero Bevilacqua che mette in evidenza le connessioni tra radici cristiane, marxismo, teoria dei beni comuni ed ecologia politica in Bergoglio e nelle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti. L’articolo è uscito nel 2021, su “Infiniti mondi” n. 17, pp. 17-26. 

 

Fra i tanti aspetti che caratterizzano l’opera e gli scritti di papa Francesco credo s’imponga all’attenzione di tutti la coerenza costante e sorprendente del suo messaggio sovvertitore. A partire dal momento dell’elezione a pontefice, quando assume il nome di Francesco, in omaggio al poverello di Assisi, la figura più rivoluzionaria del cattolicesimo, l’uomo scandalo ai margini della Chiesa diventata potenza terrena. Appena eletto, egli prende il nome di colui che ha scelto la trasgressione della povertà, la fratellanza con gli ultimi, quella del giovane rampollo che ha rovesciato la sua appartenenza di casato, scendendo nei bassifondi della miseria. Non è cosa di poco conto dunque, appena diventato il massimo esponente della Chiesa, vestirsi con un nome che è il saio sdrucito di un povero frate. Non lo è soprattutto se si pensa, ad esempio ai fasti, ai vestimenti di seta, agli ori, agli anelli e ai diamanti esibiti in San Pietro da cardinali e prelati, pochi anni prima, nella sontuosa scenografia allestita per i funerali di Papa Wojtyla.

Ma giusto pochi mesi dopo l’elezione, la prima uscita da Roma di questo papa che si chiama Francesco, è una sorpresa spiazzante. Il suo primo viaggio, non è una visita al clero di qualche paese lontano, ispirato dal desiderio risvegliare il credo cattolico nel mondo. Questo era stato, ad esempio, l’impegno politico di Giovanni Paolo Secondo, il papa militante, eternamente in viaggio, dell’ultimo scorcio del Novecento. Papa Francesco dà subito scandalo. Com’è noto, l’8 luglio del 2013 si reca nell’isola di Lampedusa, denunciando al mondo «la globalizzazione dell’indifferenza».

Lampedusa è un lembo di terra in mezzo al Mediterraneo, il cui unico lustro risiede nell’essere da anni meta di disperati, di dannati della terra, come li chiamava Franz Fanon. Papa Francesco va lì per loro, perché sono i fratelli più bisognosi e in pericolo, coloro che non hanno più niente, gli ultimi degli ultimi. Visita la comunità isolana che ha dovuto piangere centinaia e centinaia di bare per i naufragi avvenuti in prossimità delle sue coste, che ha dovuto raccogliere i corpi di tanti annegati, che ha accolto le vite di tanti salvati, ed è il simbolo cristiano per eccellenza. Un’isola di fratellanza in mezzo al Mare Nostrum, che trasgredisce e smentisce una politica europea manchevole ed ipocrita. Di fatto una. pratica di respingimento dominata dai meschini calcoli elettorali di un ceto politico senza più visione e progetti, di governanti diventati professionisti del marketing pubblicitario, a esclusivo sostegno delle proprie fortune private.

Radicalità delle mosse politiche e delle scelte simboliche, ma anche sviluppo coerente di tale radicalità sul piano del pensiero, dell’elaborazione intellettuale e della progettualità teorico-politica. L’enciclica Laudato si’, segna infatti un altro passo in avanti, uno svolgimento della scelta dirompente del nome Francesco e della prima visita all’isola dei disperati. Il “manifesto” che espone la visione di ecologia radicale del papa, che non a caso ha per titolo un verso di Francesco d’Assisi, sovverte alla radice la concezione cattolica della natura.

La visione cosmologica della Chiesa, fondata su una originaria architettura aristotelica, aggiornata nel corso dei secoli, non aveva mai cessato di guardare al mondo naturale, agli animali e alle piante, come mezzi a servizio dell’uomo. Il messaggio della Genesi con cui si fa iniziare la vita terrestre e che assegna agli uomini il potere assoluto su tutte le creature viventi, innerva ancora la convinzione cattolica della destinazione dell’uomo ad essere padrone del creato. Tanto è vero che quando inizia a fiorire, in vari paesi, la storia dell’ ambiente, e si incominciano a porre gli interrogativi su quali siano le origini culturali dei gravi problemi dell’oggi, non pochi studiosi li rinvengono nella tradizione religiosa giudaico-cristiana[1].

Papa Francesco, dunque, sconvolge dalle fondamenta la cultura ecologica della Chiesa e innerva la cosmogonia poetica di San Francesco con una robusta elaborazione teorica, che si avvale degli apporti più avanzati delle scienze ambientali e dell’ecologia radicale. È un passaggio di grande portata nella storia della Chiesa e del pensiero religioso, perché papa Francesco non tratta più i problemi del mondo dentro i limiti della dottrina sociale cattolica, ma si pone come pensatore laico, che non ha paura di assumere i risultati più dirompenti della scienza contemporanea, anche quando collidono con dottrine secolari, e di aggiungere a questi i valori più radicali del cristianesimo.

 

Fratelli cittadini

È dunque dentro la traiettoria di questo svolgimento coerente che va collocata l’ultima enciclica Fratelli tutti, nella quale il pensiero radicale di papa Francesco investe le strutture della società capitalistica attuale sotto il profilo delle relazioni umane. Giova qui ricordare, sia pure per inciso, la curiosa vicenda di inversioni, riscoperte, prestiti, sostituzioni della nozione di fratellanza nel corso dei secoli. Sappiamo che nel pensiero laico moderno essa conosce la sua “esplosione” pubblica con la Rivoluzione francese. È l’ultima dea dopo la Libertà e l’Uguaglianza, una triade che inaugura la nascita del mondo moderno, una concezione nuova della vita sociale, della condizione degli individui e delle loro relazioni reciproche.

Sappiamo che le origini teoriche di questo rivolgimento politico e di pensiero si trovano nelle idee dell’Illuminismo, e soprattutto nel Rousseau del Discorso sulle origini delle disuguaglianze, il quale teorizza una condizione di natura in cui gli uomini sono uguali, accomunati, fra l’altro, dalla commiserazione per l’altrui sofferenza. Ma è facile immaginare – come è noto agli storici del pensiero – che Rousseau non avrebbe potuto teorizzare l’uguaglianza di natura fra gli uomini fuori dalla tradizione cristiana. Una tradizione che la Chiesa, in tutti i secoli dell’età moderna, con le sue politiche di potere, di contesa con i regni e gli imperi dell’epoca, di accumulazione di ricchezza e di persecuzione degli eretici, aveva ridotto a untuosa retorica e pratica caritatevole. È dunque il mondo laico, nei momenti in cui i conflitti fra le classi si fanno più acuti e dirompenti, come accade a fine XVIII secolo, a risvegliare e a dare nuova forza storica ai valori rivoluzionari predicati dal Vangelo.

E tuttavia ben presto, spenti i generosi furori rivoluzionari, è apparso evidente che Libertà, Uguaglianza e Fraternità erano concetti troppo radicali da applicare nella società borghese che si afferma in Francia e in Europa dopo la Rivoluzione del 1789. I poteri dominanti concedono la libertà agli individui, perché essa è indisgiungibile dalla libera circolazione delle merci e dal libero esercizio d’impresa. Ma non possono certo rendere attiva e vigente la pretesa rivoluzionaria di una uguaglianza fra i cittadini, che metterebbe in discussione le gerarchie e i meccanismi di potere del modo di produzione capitalistico. E benché non manchino, nel corso del XIX secolo, le teorizzazioni radicali, che riprendono la bandiera dell’uguaglianza – basti pensare a tutto il pensiero socialista e al vertice teorico rappresentato da Marx – tuttavia la fraternità rimane un’ancella negletta rispetto alle altre due divinità. Lo ebbe a notare non a caso Alexis de Tocqueville, che nella Democrazia in America aveva colto il legame fra il credo religioso degli immigrati quaccheri e dei vari altri protestanti radicali, e la nascita della democrazia nel New England, il rapporto fra il radicalismo evangelico e l’egalitarismo sociale e politico delle comunità americane. Ma la fraternità, soprattutto in Europa, egli poteva constatare, non attecchiva, restava ai margini, guardata con indifferenza o sospetto[2].

È dunque, oggi, nel terribile e devastante anno 2020, che la personalità più alta, libera e coraggiosa del nostro tempo, prende di petto la questione, nel punto 103 di Fratelli tutti. E lo fa con queste nitide e ineccepibili parole:

«Libertà, uguaglianza e fraternità. La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità. Benché queste siano condizioni di possibilità, non bastano perché essa ne derivi come risultato necessario. La fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto all’amore».

La fraternità è dunque un valore indisgiungibile dalla libertà e dall’uguaglianza, ma costituisce un loro rafforzamento, un incremento di valore umano immesso nei rapporti sociali. È, potremmo aggiungere, il cuneo più dirompente in una società in cui l’esaltazione della libertà ha finito col plasmare un individualismo solitario, funzionale al processo di accumulazione e alla dinamica del consumismo, che non ha altro fine da perseguire se non la propria perpetuazione. E su questa libertà papa Francesco non ha tentennamenti:

«l’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere. Inganna. Ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni, come se accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene».

Tuttavia, forse consapevole dell’usura storica che la parola fraternità ha subito nel corso del tempo, dell’aura ieratica e retorica che gli si è incrostata addosso, il pontefice spesso aggiunge un altro termine innovatore: quello di «amicizia sociale», rivelatore di uno sforzo di compenetrare valori religiosi e pensiero laico. L’enciclica è infatti espressamente dedicata alla «fraternità e all’amicizia sociale», vale a dire a quel rapporto egalitario in cui entra un valore aggiunto di natura sentimentale ed emotiva, che implica il coinvolgimento degli affetti, impegno positivo empatico nel rapporto coi propri simili. La fraternità diventa un’amicizia laica che arricchisce i legami sociali di benevolenza, accoglienza, ascolto, simpatia:

«Il mettersi seduti ad ascoltare l’altro, caratteristico di un incontro umano, è un paradigma di atteggiamento accogliente, di chi supera il narcisismo e accoglie l’altro, gli presta attenzione, gli fa spazio nella propria cerchia».

Non ho l’ambizione di commentare questo ricchissimo testo che è l’enciclica Fratelli tutti, e tuttavia vorrei almeno mettere in evidenza alcuni elementi di pensiero che entrano in maniera esplosiva nel basso orizzonte delle idee dominanti del nostro tempo. E innanzi tutto rammentare che la radicalità originaria dei Vangeli, il messaggio di uguaglianza e fraternità tra gli uomini, insostenibile dalle società capitalistiche, che vorrebbero gettarlo nelle soffitte delle anticaglie, si è congiunto con la modernità del pensiero politico contemporaneo. Bisogna perciò rammentare che radicale, nel lessico rivoluzionario attuale, rimanda a una comune radice umana che tutti ci accomuna, e ambisce, come a suo fine supremo, a realizzarla di fatto sulla terra. «Essere radicale – scrive Marx – significa afferrare le cose alla radice» («Radikal sein ist die Sache an der Wurzel fassen»). E aggiunge «ma la radice per gli uomini è l’uomo stesso» («Die Wurzel für den Menschen ist aber den Mensch selbst»), vale a dire l’uomo visto nella sua essenziale nudità di vivente, ricondotto alla sua naturale origine egalitaria[3].

Oggi questa nozione potente di radicalità costituisce una sorte di rivelazione per il pensiero sociale che non accetta lo status quo. Essa mostra come la collocazione della natura al centro della storia umana, la visione coerentemente ecologica della realtà, conduce a riscoprire la condizione di uguaglianza degli uomini, di fronte alla comune minaccia di una degradazione irreversibile della Terra e dei conflitti armati che scatenerebbe.

Non si può infine non tornare a sottolineare il motivo da cui siamo partiti, vale a dire la coerenza e la consequenzialità del pensiero di papa Francesco. La teorizzazione della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità va a confliggere apertamente con un caposaldo fondativo della società borghese e capitalistica; la proprietà privata. Quel baluardo della società del capitale che per secoli la Chiesa ha riconosciuto e accettato, che il pensiero sociale cattolico ha trattato con benevolenza, difeso talora con intransigenza, insieme ai regimi politici autoritari che la rappresentavano. Fratelli tutti prende apertamente posizione e si ispira alle origini radicali del pensiero cristiano:

«Nei primi secoli della fede cristiana, diversi sapienti hanno sviluppato un senso universale nella loro riflessione sulla destinazione comune dei beni creati. Ciò conduceva a pensare che, se qualcuno non ha il necessario per vivere con dignità, è perché un altro se ne sta appropriando».

Esattamente ciò che il pensiero politico radicale sui beni comuni ha teorizzato di recente, sulla base di una lunga tradizione teorica, ribattezzando la proprietà privata come “proprietà privante”, vale a dire appropriazione e possesso di alcuni che priva gli altri e li esclude[4].4

Ma in questa enciclica papa Francesco torna a sorprenderci, ancora una volta, per la coerenza radicale del suo pensiero, a cui la consapevolezza ecologica espressa in Lautato si’ conferisce l’ampiezza di una piena universalità. Quella universalità drammaticamente assente dal pensiero politico corrente. Così, in maniera nitidamente consequenziale, la messa in discussione del carattere escludente della proprietà privata, l’istituto, si badi, che nega alla radice la fraternità, non deve rimanere confinata al rapporto fra gli individui, ma va estesa anche agli stati e ai paesi, deve riguardare il mondo intero, il pianeta terra, di cui nessuno è proprietario, bene comune per eccellenza. Il papa esprime questo pensiero mentre perora la causa dei beni comuni indivisibili, ricordandosi dei migranti, dei fuggiaschi, delle genti che hanno perso tutto e che gli stati vogliono tenere fuori dai loro confini:

«La certezza della destinazione comune dei beni della terra richiede oggi che essa sia applicata anche ai Paesi, ai loro territori e alle loro risorse. Se lo guardiamo non solo a partire dalla legittimità della proprietà privata e dei diritti dei cittadini di una determinata nazione, ma anche a partire dal primo principio della destinazione comune dei beni, allora possiamo dire che ogni Paese è anche dello straniero, in quanto i beni di un territorio non devono essere negati a una persona bisognosa che provenga da un altro luogo».

Tengo a sottolineare che tale riflessione, resa possibile dallo sguardo planetario a cui ci ha abituato il pensiero ecologista[5], costituisce il nodo della sfida drammatica che l’umanità si trova di fronte. Quello che deciderà della salvezza o della rovina delle società umane sulla terra. Perché è evidente che i problemi ambientali di oggi, destinati a diventare più acuti e cogenti nei prossimi decenni, la scarsità di territori, di acqua, di terre fertili, di legname, di risorse minerali, stante l’attuale ordine mondiale, trasformerà la competizione tra stati in lotta per la sopravvivenza e quindi in guerra. In guerra distruttiva totale. Per questo occorre fin da oggi puntare a un nuovo ordine mondiale, una nuova concertazione tra le nazioni, che trasformi la competizione in cooperazione, che induca tutti i popoli a guardare ai beni della terra come a un patrimonio comune. E lo dice perfettamente papa Francesco: «far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità». È questo l’obiettivo decisivo a cui occorrerebbe già da oggi puntare, sicché il nucleo politico più rilevante della lotta ambientalista appare una questione di politica estera. Occorre infatti non farsi molte illusioni sulle soluzioni tecnologiche (che pure vanno ovviamente ricercate) per fronteggiare le catastrofi annunciate dal riscaldamento climatico[6]. La catastrofe definitiva rischia di essere non tanto la perdita dei ghiacciai, l’innalzamento dei mari, la desertificazione di estese superfici della Terra, ma la lotta fratricida fra i popoli, imprigionati nei relitti storici delle loro istituzioni obsolete, gli stati-nazioni e nell’ideologia ormai insensata della competizione e dello sviluppo.

 

Note al testo

[1] È tale tesi a dare avvio al dibattito più ampio e significativo, sulle origini della crisi ambientale, a partire dalla fine degli anni Sessanta, con il saggio dello storico americano Lynn White, The historical roots of our ecological crisis, “Science”, 1967, n. 155. Sulla discussione rimando al mio La terra è finita. Breve storia dell’ambiente, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 4 e ss. Un’ottima ricostruzione storiografica della storia ambientale ai suoi esordi in M. Armiero e S. Barca, Storia dell’ambiente. Una introduzione, Carocci, Milano, 2004.

[2] Si vedano le acute riflessioni di Luciano Cafagna nell’Introduzione ad A. de Tocqueville, L’antico regime e la rivoluzione, a cura di C. Vivanti, Einaudi, Torino, 1989, pp. XXXIV-XXXV.

[3] K. Marx, Werke-Artikel,Entwürfe. Märs 1843 bis August 1844. Text. In K. Marx-F. Engels, Gesamtausgabe, vol 2. Dietz, Berlin, 1982, p. 177. Più diffusamente si veda P. Bevilacqua, Elogio della radicalità, Laterza, Roma-Bari, 2012.

[4] Si veda U. Mattei, Beni Comuni. Un manifesto, Laterza, Roma-Bari, 2011. Negli ultimi anni, in Italia, sono state alcune scuole di pensiero giuridico a porre in termini radicali la questione della proprietà. Si veda essenzialmente, S. Rodotà, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata, il Mulino, Bologna,1981 e Idem, Il diritto di avere diritti, Laterza, Roma-Bari 2012.

[5] Già Marx, in un passaggio del terzo libro del Capitale, aveva nitidamente espresso l’idea della Terra come bene comune: «Dal punto di vista di una più elevata formazione economica della società, la proprietà privata di un singolo individuo sul globo terrestre apparirà interamente priva di senso come la proprietà privata di un uomo su un altro uomo. Parimenti, una intera società, una nazione, tutte le società contemporaneamente messe insieme, non sono proprietarie della terra. Esse sono solo i suoi possessori, i suoi usufruttuari, e la debbono tramandare, migliorata, come buoni padri di famiglia (boni patres familias) alle generazioni successive» (K. Marx, Il Capitale. Libro terzo, trad. M.L. Boggeri, Editori Riuniti, Roma, 1963, pp. 886-887).

[6] N letteratura che analizza la crisi climatica incombente come connaturata al capitalismo, segnalo il recente N. Chomsky, R. Pollin, Minuti contati. Crisi climatica e Green New Deal globale, a cura di C.J. Polychroniou, Ponte alle Grazie, Milano, 2020.

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Piero Bevilacqua

Storico e scrittore, già professore di Storia contemporanea presso Sapienza Università di Roma. Ha scritto numerosi libri scientifici, romanzi, saggi; ha fondato e diretto la rivista "Meridiana"; collabora con diverse testate giornalisitiche. È tra i fondatori dell'Officina dei saperi.

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