Obbligo scolastico? In officina

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2010-01-21 07:41:02

>[Il Manifesto, 21/01/2010]<br />Si dice: «l’istruzione fa la differenza  », perché permette di aumentare  sia la produttività generale  che lo stipendio individuale. Quindi,  cosa fa questo governo? Permette di  trascorrere l’ultimo anno di istruzione  obbligatoria (il secondo anno delle  superiori, in un percorso regolare) sotto  forma di «contratto d’apprendistato  ». Gli «accordi di Lisbona», nel 2000.  avevano fissato l’anno appena iniziato  come il traguardo da tagliare per  una matura «economia della conoscenza  ». Ben arrivata, Italia!  La Commissione lavoro del Senato,  ieri mattina, ha approvato un emendamento  – presentato dalla maggioranza  – al disegno di legge sul lavoro,  collegato alla Finanziaria. In cui è previsto  che l’apprendistato possa valere  a tutti gli effetti come assolvimento  dell’obbligo dell’istruzione. Avete presente  quel che fanno già spontaneamente molti  genitori poveri, nei territori  più arretrati? Non mandano più i  figli a scuola, perché servono le loro  braccia per portare a casa qualche euro  in più. Si chiama «dispersione scolastica  » e viene da decenni combattuta  in molte forme. Ora non più. Diventa  legalissima, anzi, equivale «quasi»  a un titolo di studio, purché avvenga  «solo» tra i 15 e i 16 anni di età.  Un ministro incommentabile  come Maurizio  Sacconi ci ha tenuto a rilasciare  il suo personale giudizio su  questa misura: «Non si tratta per nulla  di anticipare l’età di lavoro, ma di  consentire il recupero di un giovanissimo  demotivato a seguire gli altri percorsi  educativi attraverso una più efficace  modalità di apprendimento in  un contesto lavorativo. Si tratta in  ogni caso di una possibilità in più e  del riconoscimento comunque che il  lavoro è parte del processo educativo  di una persona». C’è da pensare, dunque,  che si possa prima o poi essere  messi al lavoro anche prima dei 15 anni,  tanto sempre «educazione» è. Non  a caso, il testo risulta in conflitto con  almeno due leggi esistenti da molto  tempo: l’obbligo scolastico e l’età minima  per poter lavorare, entrambe fissate  a 16 anni.  Immediate le reazioni politiche e  sindacali, con il Pd che tramite Fioroni  – exministro dell’istruzione – parla  di «inaccettabili salti indietro nella formazione  »; l’Idv di «governo ignorante  che incita all’ignoranza». La Cgil vi nota «l’abbassamento dei diritti», criticando  la becera «propaganda» sui temi  del «lavoro per i giovani e la lotta  al sommerso». Critiche senza appello  arrivano anche dalle assai più bendisposte  (di solito) Cisl e Uil, che parlano  di «emendamento da ritirare».  Tra l’allarmato e l’ironico, invece,  la reazione dei diretti interessati. Mentre  la Fgci invita il presidente Napolitano  a non controfirmare il testo (che  dovrebbe iniziare il percorso in aula  già lunedì prossimo), la Rete degli studenti  coglie il nesso tra il testo e i fatti  di Rosarno: «e ora tutti a raccogliere  le arance!». Complice anche l’altroministro,  Brunetta, che nei giorni scorsi  aveva straparlato di una «legge per  mettere fuori di casa» chi aveva più di  18 anni di età.  Il decreto lavoro, frutto di mediazioni  con il Pd, contiene anche un’unica  cosa positiva: il ripristino della gratuità  per le cause di lavoro (che era stata  cancellata proprio per scoraggiare i lavoratori  dal far ricorso contro licenziamenti,  ecc).Ma il punto sull’apprendistato  «istruttivo» è davvero l’elemento  che mette in chiaro l’idea di società  che anima questa maggioranza. I giovani in difficoltà con l’assolvimento  dell’obbligo scolastico sono, com’è  noto, quelli con alle spalle famiglie decisamente  povere. Avallare la possibilità  di mandarli al lavoro appena un  anno dopo la licenza media – a prescindere  oltretutto dal merito scolastico  – significa, com’è stato osservato  subito, «bloccare la possibilità di mobilità  sociale».  Peggio ancora, visto che proprio ieri  è stato approvato dalla Camera anche  il regolamento di riforma delle superiori,  che prevede tra l’altro la soppessione  di migliaia di cattedre. Il  combinato disposto è quindi chiarissimo:  chiudere con l’istruzione «diritto  universale» e «risparmiare» sul personale,  riducendo la platea dei potenziali  «clienti». Persino il senatore Rusconi,  del Pd, è stato costretto a riesumare  la definizione di «indirizzo classista  » per questo schema.  I Cobas, che ieri stavano protestando  davanti Montecitorio insieme alla  Cgil e altri settori del mondo della  scuola, hanno perciò confermato senza  esitazioni lo sciopero generale della  scuola, proclamato per il prossimo  12 marzo.  <br />di Francesco Piccioni