L’eco della reazione rumorosa allo sgombero di via Incontri e al suicidio di Fedi

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La reazione all’ennesimo sgombero dell’occupazione di Casa Gabriella, un casolare di proprietà dell’Inail situato sulle colline di Careggi, in via degli Incontri 2 a Firenze, non si è fatta attendere; venerdì 5 Luglio, il giorno dopo l’operazione delle forze di polizia, un corteo composto da ex occupanti, associazioni fiorentine che hanno animato l’occupazione e persone solidali a quanto accaduto ha sfilato lungo le vie del quartiere di Sant’Ambrogio. «Dopo lo sgombero dell’occupazione di via Incontri 2 ci troviamo in piazza per ribadire che una città diversa esiste» – queste le parole diffuse sui social del Collettivo ex occupazione viale Corsica 81 nell’invito alla protesta contro i frutti della politica della repressione raccolti dopo l’approvazione, lo scorso autunno, del “pacchetto sicurezza” (opera del Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi).

La passeggiata rumorosa, questa la connotazione della manifestazione, è iniziata di fronte alla chiesa di Sant’Ambrogio. A seguito di alcuni interventi di persone che hanno vissuto sulla propria pelle l’esperienza dell’occupazione e dello sgombero, che hanno raccontato le modalità dell’atto di forza e contestualizzato questa esperienza nella costellazione delle azioni compiute dal Collettivo, un gruppo formato da circa una settantina di persone ha iniziato la sua sfilata dirigendosi verso Piazza di Santa Croce. Durante la camminata, mentre venivano intonati cori di contestazione al ritmo di percussioni più o meno arrangiate, sono stati distribuiti volantini informativi. Dalla basilica di Santa Croce il sempre più numeroso corteo si è mosso verso Largo Pietro Annigoni, dove è stato allestito un sound di fronte a Santa Verdiana, sede della facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. Alcuni collettivi artistici che hanno attraversato l’ultima occupazione di casa Gabriella hanno curato la preparazione tecnica dell’impianto, rispondendo positivamente all’appello mosso dalle ragazze e dai ragazzi ex Corsica 81 di concludere la manifestazione ballando, alla ricerca di una leggerezza compromessa. E a dimostrazione del fatto che le istanze politiche e sociali avanzate dai vari movimenti dal basso fiorentini sono più che complementari; le battute finali della passeggiata rumorosa, infatti, hanno reso concreto il tentativo di costruire una piazza di cui molte e molti giovani soffrono l’assenza: uno spazio libero, accessibile e fruibile da tutte e tutti dove poter organizzare eventi di carattere politico, sociale, culturale, ludico, distanti dalle logiche di consumo. Almeno per una sera.

Ma non si tratta solo di questo. Per comprendere la portata dell’eco della suddetta reazione di protesta è opportuno riavvolgere il nastro degli eventi. Perché giovedì 4 Luglio è stata una giornata drammatica non solo per quanto riguarda lo sgombero dell’occupazione di via Incontri 2, ma anche – e soprattutto – per un’altra terribile notizia: il suicidio di Fedi, il nome del tunisino ventenne che ha deciso di togliersi la vita nella propria cella del carcere di Sollicciano. Non a caso, ad aprire le file del corteo di venerdì 5 Luglio era posto uno striscione emblematico: «Sgomberi, miseria, suicidi in carcere. È questa la città che vogliamo?».

Come si apprende dalla stampa locale, in un reclamo di Febbraio 2024 presentato al Tribunale di Sorveglianza di Firenze grazie al supporto legale fornito dall’associazione L’Altro Diritto Onlus, il ventenne tunisino aveva richiesto «il ripristino delle condizioni di salubrità», dato che viveva in una cella senza acqua, infestata da cimici, muffa e topi; Fedi, inoltre, sollecitava i giudici a «ordinare all’amministrazione penitenziaria di porre fine alla lesione e alla limitazione dei suoi diritti», legate alle condizioni degradanti della struttura penitenziaria fiorentina. Nei mesi successivi non si sono registrati cambiamenti significativi, e il perpetrarsi della situazione ha spinto Fedi a farla finita. La diffusione della notizia del suicidio porta il caos nelle celle: le urla dei detenuti raggiungono via Girolamo Minervini, e precedono l’incendio di lenzuola e materassi che vengono sventolati fuori dalle grate delle celle. La protesta disperata dei detenuti è stata sedata al calar della notte.

Il giorno successivo una delegazione composta dalla neo-sindaca di Firenze Sara Funaro e tre parlamentari toscani (il segretario regionale del Partito Democratico Emiliano Fossi, il collega di partito Federico Gianassi e il coordinatore provinciale del Movimento 5 Stelle Andrea Quartini) ha visitato il carcere di Sollicciano; partecipando ad una conferenza stampa indetta di fronte alla struttura, i quattro politici sono stati contestati da un gruppo composto da almeno una decina di persone. La conferenza stampa è stata lanciata da Luca Maggiora, Presidente della Camera Penale di Firenze, il quale ha dichiarato: «Dall’inizio dell’anno siamo già a 53 persone che si sono tolte la vita nelle carceri, ed è un qualcosa che non è più tollerabile. L’unico appello da fare è invitare pubblicamente il Ministro della Giustizia Carlo Nordio e la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni a partecipare ad una giornata all’interno di Sollicciano, perché quando lo Stato non riesce a garantire la vita delle persone poste sotto la propria tutela è responsabile della loro morte».

Purtroppo sembra un copione già scritto; già alla fine del 2021, difatti, l’ex sindaco di Firenze Dario Nardella invitò ufficialmente l’allora Ministra della Giustizia Marta Cartabia a Sollicciano, che giunse poi in loco il 14 Gennaio 2022 per un annuncio in grande stile. Sette milioni di euro per rifare il carcere di Firenze, una cifra stanziata dal Ministero che si andava ad aggiungere a quella prevista dalla Regione Toscana, ovvero quattro milioni. In tutto facevano undici milioni ma, a distanza di due anni e mezzo, la risposta è riassunta nei fatti di giovedì 4 Luglio: nulla, o quasi, è stato fatto. Come dichiarato da Eros Cruccolini, il Garante dei Diritti delle persone private della libertà, «Il Governo non può continuare a fare finta di risolvere i problemi come con l’ultimo decreto emanato. Ci sono notevoli difficoltà non solo per le persone detenute ma anche per chi lavora in carcere e quindi sollecitiamo i parlamentari toscani a promuovere in Parlamento interrogazioni e quant’altro possa fare emergere proposte serie tenendo conto che tutto questo non è più rinviabile». Perché la piaga delle condizioni delle carceri italiane affligge anche agenti di polizia penitenziaria (come puntualizzato dalla Senatrice Ilaria Cucchi), psicologi, mediatori culturali, educatori sociali. A tal proposito, sfogliando l’ultimo dossier elaborato dall’associazione Antigone, emerge in modo evidente la necessità di stanziare nuovi fondi per adeguare il numero (e gli stipendi) degli esperti psicologici impiegati nelle attività di osservazione e trattamento – erogazione di fondi che deve essere inserita nel contesto di una programmazione riformatrice più ampia, pena il protrarsi della tragica emergenza suicidaria. In definitiva, riprendendo le dichiarazioni di Dmitrij Palagi e Giulia Marmo di Sinistra Progetto Comune, si devono compiere gli sforzi necessari affinché il carcere non rappresenti una discarica sociale, ovvero un luogo dove poter marginalizzare le persone che, poste in condizioni di povertà e miseria, non possono che compiere azioni illegali per sopravvivere.

Compiere azioni ritenute illegali secondo la legge è spesso fondamentale anche per rivendicare i propri diritti. E in una città come quella di Firenze che negli ultimi anni si è sempre più privatizzata, con la derivante scomparsa di decine di spazi sociali, pare che non ci sia alternativa. La storia di casa Gabriella ne è la prova, e vale la pena ricostruirla.

Questa storia ha un nome e un cognome ben preciso: Gabriella Bertini. Una donna coraggiosa e determinata, che ha incarnato la lotta per la dignità, la salute e l’indipendenza delle persone paraplegiche. Le sue azioni di protesta, tra cui uno sciopero della fame nel 1979, hanno contribuito alla nascita a Firenze della prima Unità Spinale Unipolare in Italia. Questo racconto ha anche un indirizzo e un civico: via degli Incontri 2. Dove risiede il casolare in cui hanno vissuto Gabriella, il coniuge Giuseppe (detto Beppe) Bianchi e la sua famiglia dal 1978 fino a una decina di anni fa. I due occuparono lo stabile abbandonato quando era niente di più che un rudere malmesso e, a loro spese, lo resero un’abitazione confortevole senza barriere architettoniche. Sognavano in grande, sperando di trasformare quella casa in un punto di appoggio per persone con paraplegia e tetraplegia seguite dalla vicina Unità Spinale dell’ospedale Careggi, ma anche di renderla una dimora per chi, disabile e anziano, si trova senza il supporto della famiglia.

Dopo la morte di Gabriella nel 2015, Beppe ha continuato a vivere nell’immobile di via Incontri sino al 2017, anno in cui l’Inail, proprietaria dei terreni, richiese dal Tribunale Civile di Firenze il suo sfratto. Prima di questo atto, alcune associazioni vicine al progetto di Beppe e Gabriella come Medicina Democratica e ATP avevano presentato al Consiglio Regionale della Regione Toscana il progetto “Casa Gabriella”, ovvero la realizzazione della prima struttura pubblica in Italia in grado di fornire continuità alle terapie erogate da un’unità spinale. La loro reazione alla richiesta di sfratto si può leggere nella lettera aperta indirizzata all’allora Presidente della Regione Enrico Rossi: «Riteniamo che la presenza di Giuseppe Banchi nel sito interessato dal progetto di “Casa Gabriella” sia fondamentale per una ripresa e una positiva soluzione delle necessarie trattative per giungere alla realizzazione del progetto. […] Chiediamo pertanto un incontro per poter valutare iniziative atte a riprendere la trattativa a partire dal ritiro, da parte di Inail, delle procedure di sfratto». Nonostante la precedente approvazione del progetto “Casa Gabriella” da parte del Consiglio Regionale toscano, il burocratismo bizantino tipico delle istituzioni italiane portò all’arenarsi delle suddette trattative – e allo sfratto di Beppe.

Dal 2018 al 2020 Casa Gabriella è rimasta vuota; solo a Gennaio 2020 tornò a riempirsi, quando il Movimento di Lotta per la Casa occupò lo stabile con una ventina di persone che si trovavano in emergenza abitativa. Attorno a questa vicenda si formò una rete di solidarietà che incluse A.Di.Na, l’associazione per i diritti dei disabili a cui appartenevano Gabriella e suo marito. Anna Nocentini, presidente dell’associazione, dichiarò: «Siamo solidali con gli occupanti e vediamo la prosecuzione delle lotte di Gabriella nell’occupazione e nell’attività degli occupanti. Ridare vita a questa casa è un punto importante». Anche Medicina Democratica fece sentire il suo appoggio: «L’occupazione dell’edificio riporta all’attenzione il destino di quella realtà contro ogni ipotesi di valorizzazione (vendita) da parte di Inail in grado solo di aprire le porte a speculazioni edilizie».

L’occupazione durò fino a Ottobre 2021, quando il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica ne ordinò lo sgombero. Sara Funaro, che in quel momento ricopriva il ruolo di assessore al Welfare, commentò le operazioni di sgombero assicurando che l’Inail si era resa disponibile a mettersi intorno a un tavolo per iniziare un ragionamento per destinare l’immobile a finalità socio-sanitarie. Le parole dell’attuale sindaca non sono invecchiate benissimo, perché un’altra occupazione ha battuto sul tempo un’eventuale messa a disposizione dell’immobile da parte dell’Inail. Due anni più tardi, ad Ottobre 2023, il Collettivo ex Corsica 81 ha aperto nuovamente le porte di casa Gabriella, dichiarandolo pubblicamente sui social: «In un periodo storico in cui l’affitto pesa metà del salario occupare non è solo giusto, ma anche doveroso. Negli ultimi anni la governance cittadina non è stata mai capace di fornire risposte all’emergenza abitativa e alla carenza endemica di spazi sociali. Noi, dal canto nostro, sprovvisti dei grandi capitali che soli permettono di intraprendere iniziative in questa città, ci arrangiamo con l’unica pratica che ci risulta percorribile: l’apertura e la cura degli spazi abbandonati, per restituirli all’uso sociale e alla collettività. Costruiamo mondi contro il deserto sociale».

Ed eccoci qui, a Luglio 2024, dopo l’ennesimo sgombero di un’occupazione in via degli Incontri 2. Ad oggi la politica non si è pubblicamente espressa a proposito di quanto accaduto giovedì 4 Luglio, determinando così un silenzio imbarazzante e imbarazzato. Certo, come sottolinea il consigliere comunale Dmitrij Palagi, l’ordine pubblico non è di competenza del Comune, ma «Il problema è che il sociale invece lo è. Seguire le destre sul piano repressivo e non agire in relazione con i movimenti, anche i più antagonisti, dimostra l’inadeguatezza di una cultura politica». E se la politica non riesce ad ascoltare le istanze di chi si oppone al nuovo modello di città, di chi ne denuncia l’invivibilità, allora non resta che amplificare l’eco della passeggiata rumorosa di venerdì 5 Luglio, sostenendo le azioni di chi ha il coraggio e la forza di agire concretamente contro la desertificazione sociale che grava su Firenze.

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Lorenzo Robin Frosini

Lorenzo Robin Frosini nasce a Pistoia e vive a Prato. Laureato in Logica, Filosofia e Storia della Scienza presso l'Università degli Studi di Firenze, aspira ad essere un musicista e un giornalista.

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